Aree interne ed eco-musei. Una proposta di valorizzazione della Valle Siciliana attraverso la creazione di un ecomuseo digitale | Inland areas and eco-museums. A proposal for the enhancement of the Valle Siciliana through the creation of a digital ecomuseum

DOI: 10.5281/zenodo.10645977 | PDF

Educazione Aperta 15/2024

Inland areas refer to regions or territories that are far from the urban centers or that are characterized by low density population. These areas often face many issues which include: geographic isolation, lack of services, unemployment, lack of economic opportunities and especially lack of protection practices and territory development. The latter aspect – which should engage first the community – often fails and the population that lives in those spaces is not enough sensitized to the heritage that surrounds them. Such contribution aims to inquire on the several opportunities of development of the internal areas, through creation of ecomuseums and the use of the digital, addressing their problems and promoting a sustainable growth and tourism. We propose as case study the doctoral research of the writer on promotion of the historical and artistical heritage of the Valle Siciliana, at the foot of the Gran Sasso in Abruzzo, through the concept of ecomuseum, active community and the usage of digital atlases.

Keywords: ecomuseum, inland areas, enhancement, heritage.

Le aree interne e i problemi di valorizzazione e tutela

Le aree interne si riferiscono generalmente alle regioni o alle zone di un paese che si trovano lontane dalle coste o dai principali centri urbani: sono caratterizzate da una minore densità di popolazione e possono presentare sfide e opportunità specifiche.

Le aree in questione comprendono diverse tipologie di territorio – zone rurali, montane, collinari o remote – e la loro geografia spesso offre una varietà di risorse naturali e artistiche come terreni agricoli, foreste, laghi o fiumi, abbazie, conventi, eremi. Queste risorse possono fornire basi per lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria forestale, del turismo e molteplici ulteriori attività economiche. Tuttavia, le aree interne affrontano diverse sfide che ne limitano lo sviluppo, per esempio una minore connettività e accessibilità rispetto alle zone urbane, un declino demografico, con una popolazione che diminuisce a causa dell’emigrazione verso le città o verso altre regioni più sviluppate; tale aspetto può portare a una riduzione delle risorse umane, all’invecchiamento della popolazione e alla diminuzione dei servizi locali. Tra le numerose problematiche, emergono anche una minore diversificazione economica e la mancanza di opportunità lavorative e, in particolar modo, la difficoltà ad accedere a servizi essenziali come sanità, istruzione di qualità, trasporti pubblici e infrastrutture moderne.

Nell’immaginario collettivo l’aggettivo “interne” porta con sé una serie di luoghi comuni, spesso abbinati a immagini di luoghi abbandonati (Baldiani, 2020), dimenticati dal tempo, senza traccia del passaggio della storia e dell’arte. In realtà, molte delle zone che oggi chiamiamo aree interne furono nel Medioevo polo di attrazione soprattutto per i monaci benedettini i quali, avendo una forte vocazione agricola, cercarono spesso di stabilire monasteri in aree rurali e isolate (Mammarella, 1993). Tali zone potevano includere anche regioni montuose, che spesso erano meno popolate e offrivano condizioni favorevoli per la vita monastica, fatta di isolamento e tranquillità, ideali per la contemplazione spirituale e la ricerca di una vita più ritirata. È proprio in questi piccoli centri che i benedettini diedero vita ad ambienti culturali (D’Antonio, 2003), sviluppando non solo l’agricoltura, la pastorizia e la produzione di cibo, ma in particolar modo la pratica delle arti.

Un esempio concreto lo offrono i comuni di una vasta area ai piedi del monte Gran Sasso chiamata Valle Siciliana[1] – Isola del Gran Sasso, Castelli, Tossicia, Castel Castagna, Colledara – con i suoi borghi, monasteri, conventi, santuari, chiese è testimonianza di un passato glorioso. In particolar modo, Castelli – celebre per la produzione di maioliche – era sede di un antico monastero denominato di San Salvatore, promotore dell’arte della figulina castellana, cioè degli oggetti realizzati in terracotta (Scarsetti, 1979). Numerosi sono i capolavori d’arte che costellano la Valle e vedono protagonisti i migliori artisti del panorama abruzzese – Andrea de Litio, Paolo Aquilano, Bernardino Monaldi, collaboratori di Pompeo Cesura e Saturnino Gatti, nonché di lapicidi veneti, lombardi e napoletani (Maccherini, 2010) – rendendo l’area un vero e proprio museo a cielo aperto. Il territorio è stato costantemente provato, non solo negli ultimi anni, ma nei secoli, da fenomeni naturali, in primo luogo tellurici, che hanno distrutto e reso intangibile una moltitudine di monumenti. I comuni presentano tutte le caratteristiche tipiche delle zone marginali: uno spopolamento dovuto alla migrazione verso le aree urbane; un disagio giovanile e occupazionale dovuto a un mercato del lavoro limitato, con poche opportunità di impiego; un mancato sviluppo economico che, insieme alla perdita di servizi essenziali come scuole, strutture sanitarie e infrastrutture sociali, contribuiscono a una sensazione di degrado economico e frustrazione nella comunità.

Nel recente dibattito nazionale sta crescendo repentinamente l’interesse per le politiche di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale delle aree interne per due ragioni. Una prima è legata ai danni subiti dai beni culturali del centro Italia, a seguito dei terremoti del 2009 e del 2016-2017; a causa della marginalizzazione e dello spopolamento le aree interne e il loro patrimonio sono rimasti sempre più esposti a eventi naturali che hanno messo a dura prova un territorio già fragile. La seconda ragione è legata all’approvazione della SNAI, Strategia Nazionale per le aree interne, nella quale proprio la valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo è indicata tra le leve culturali principali per invertire il trend di spopolamento e contribuire allo sviluppo locale; è stato osservato come il patrimonio culturale, la sua tutela e la sua valorizzazione rappresentino il volano di sviluppo (Vitale, 2018) non solo del turismo ma anche della comunità la quale, attraverso una radicale revisione dei valori di fondo, da passiva diventa attiva.

L’aumento dell’attenzione nei confronti del patrimonio delle aree interne a livello nazionale non ha avuto riscontro nella stessa misura a livello locale. La mancanza di risorse finanziarie e di personale specializzato nel campo della conservazione e della gestione del patrimonio artistico limita la capacità delle autorità locali e degli enti preposti alla manutenzione e al restauro delle opere d’arte. Tuttavia, queste non sembrano essere le uniche limitazioni: una scarsa sensibilità, consapevolezza e attenzione da parte della comunità locale verso il patrimonio circostante emergono come alcune delle principali cause di degrado. Tali mancanze potrebbero derivare da una scarsa informazione riguardo il valore culturale e storico del patrimonio presente. Di conseguenza, la comunità risulta disinteressata rispetto alle ricchezze artistiche e culturali che la circondano e, soprattutto, ignora come queste possano contribuire alla preservazione dell’identità locale. La situazione genera un dannoso meccanismo: gli abitanti non si sentono coinvolti nel processo di valorizzazione e conservazione, risultando meno motivati a prendersi cura del patrimonio e a difenderlo dagli attacchi esterni – come da eventi sismici, da trafugamenti di opere d’arte e dal logorio del tempo; di conseguenza, il patrimonio artistico e culturale rischia di deteriorarsi o andare perduto a causa del degrado, del vandalismo o della mancanza di manutenzione. Ciò comporta la perdita di una parte importante dell’identità e della memoria storica delle comunità locali, nonché una riduzione delle opportunità economiche e turistiche legate al patrimonio culturale materiale e, soprattutto, intangibile.

Tale questione apre le porte a una serie di movimenti culturali che si sviluppano nella seconda metà del Novecento. In particolar modo negli anni Settanta, il “folk revival” combina diverse tendenze, tra cui l’attenzione alle culture subalterne come forme di resistenza, l’interesse del pubblico per l’autenticità tradizionale, una poetica anticonsumistica e politiche territoriali di promozione. Tuttavia, negli anni Ottanta, questa tendenza si indebolisce e, dagli anni Novanta, emerge un nuovo paradigma basato sulla memoria e sul patrimonio, spiegato dall’Unesco, che interpreta il nuovo linguaggio e i nuovi obiettivi della valorizzazione delle culture locali e tradizionali (Dei, 2012). Nel 2003 definisce il “patrimonio culturale intangibile” come pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e saperi, insieme agli strumenti, oggetti, manufatti e spazi culturali associati a essi, che le comunità, i gruppi e talvolta gli individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in sintonia con il loro ambiente, la loro interazione con la natura e la loro storia. Questo contribuisce a definire la loro identità e continuità culturale, promuovendo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana (Unesco, 2003).

Molto spesso il senso di identità culturale viene meno, per tale motivo attività di sensibilizzazione, eventi culturali, programmi educativi e coinvolgimento delle scuole possono contribuire a far comprendere l’importanza del patrimonio e a creare un senso di appartenenza e responsabilità nei confronti di esso.

Alcuni dei comuni della Valle Siciliana risentono delle problematiche sopra elencate, in primis una scarsa propensione della comunità e delle istituzioni locali a lavorare in sinergia per il territorio e per i beni che lo compongono. La poca conoscenza del patrimonio artistico presente relativa alle chiese, i conventi e i monasteri, le scarse politiche di ri-vivificazione del territorio – Castel Castagna, “borgo fantasma” ne è un esempio –, la desertificazione culturale, la migrazione verso centri più grandi, sono il denominatore comune dei paesi che si affacciano sul fiume Mavone. Una simile situazione crea disagi anche a un possibile turista, il quale visitando i borghi non trova monumenti segnalati, etichette descrittive e, in alcuni casi, nemmeno residenti a cui chiedere indicazioni o che conoscano le particolarità culturali del territorio.

La valorizzazione e la tutela del patrimonio delle aree interne richiedono un impegno collettivo, in cui la comunità locale, le istituzioni e gli esperti lavorano insieme per preservare la ricchezza artistica e culturale di queste regioni, garantendone la fruizione e la continuità nel tempo. Una possibile strategia da creare in sinergia tra le parti è sicuramente la creazione di ecomusei.

La creazione di ecomusei come strumento di valorizzazione delle aree interne e della Valle Siciliana

L’ecomuseo, detto anche museo diffuso, è l’ultima tappa di un percorso di ricerca svolto in diversi Paesi che ha nel grande tema della cultura demo-etno-antropologica e della sua divulgazione la principale componente di riferimento (Gambino, 2018). Il termine è stato coniato negli anni Settanta dallo storico e museologo francese Georges-Henri Rivière. Rivière era convinto che i musei tradizionali non fossero sufficienti per affrontare le sfide della conservazione e della valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, specialmente nelle aree rurali e urbane periferiche. Rivière propose il concetto di ecomuseo come una nuova forma di museo che si basava sulla partecipazione attiva della comunità locale nella gestione e nella valorizzazione del proprio patrimonio. Nacque così l’idea di un “museo” che non si limita a un edificio o a una collezione di oggetti, ma comprende l’intero territorio e coinvolge le persone che vi abitano. “Si tratta di musei aperti, viventi, che al contenitore classico (l’edificio), sostituiscono un intero territorio, alla collezione esposta il patrimonio materiale e immateriale della comunità, mentre il pubblico che ne fruisce è in primis la popolazione stessa e poi chi ha il piacere di visitare quelle zone” (ivi, p. 329).

Dietro l’ecomuseo c’è l’idea di creare una rete di relazioni tra il patrimonio naturale, culturale e sociale di un’area specifica e la comunità locale. Invece di concentrarsi solo sulle opere d’arte o sugli oggetti esposti, l’ecomuseo mette in evidenza le interazioni tra le persone e il loro ambiente, le tradizioni locali, le pratiche quotidiane, l’architettura, l’arte, l’economia e altri aspetti che contribuiscono alla creazione dell’identità del luogo. Si basa su una visione olistica del patrimonio, riconoscendo che il territorio e la sua comunità sono strettamente interconnessi. La sua missione è quella di valorizzare e proteggere il patrimonio culturale e naturale, coinvolgendo la comunità nella sua conservazione e nella promozione di uno sviluppo sostenibile (Zupi, 2012) e del turismo culturale.

Oggi, gli ecomusei sono riconosciuti come importanti strumenti per la tutela del patrimonio delle aree interne, ancora più se associati al mondo del “digital”. Le tecnologie digitali offrono, infatti, nuove opportunità per la creazione di esperienze immersive, interattive e accessibili che permettono di esplorare il patrimonio anche a distanza. Ad esempio, attraverso la realtà virtuale o la realtà aumentata, è possibile consentire alle persone di visitare virtualmente luoghi e siti all’interno dell’ecomuseo, anche a distanza. Ciò può ampliare la portata e l’impatto dell’ecomuseo, attirando un pubblico più vasto e promuovendo il turismo virtuale. Inoltre, il digitale può facilitare la conservazione e la gestione del patrimonio all’interno degli ecomusei: la digitalizzazione dei materiali, come fotografie, documenti storici, registrazioni audio e video, consente di preservarli nel tempo e renderli facilmente accessibili. Le piattaforme possono essere utilizzate per organizzare e condividere informazioni sul patrimonio, creare archivi digitali e facilitare la ricerca da parte degli studiosi e degli interessati. Inoltre, il digitale può anche favorire la partecipazione e l’interazione della comunità, aspetto chiave e che indagheremo più avanti. 

È possibile quindi estendere tale proposta anche alla Valle Siciliana in un’idea di ecomuseo digitale che renda guida-ospitante la comunità stessa. Lo svolgimento di tale progetto richiede una programmazione puntuale, ma che in tale contesto possiamo riassumere in tre fasi fondamentali: ricerca storica del patrimonio e del territorio attraverso uno studio archivistico e storiografico; coinvolgimento e collaborazione della comunità e partenariato; sviluppo di un ecomuseo digitale.

La ricerca sul patrimonio e sul territorio è il primo passo cruciale per identificare i luoghi d’interesse come le chiese, i conventi e i monasteri presenti nella Valle Siciliana. Questa fase richiede un’accurata analisi delle caratteristiche architettoniche, storiche e artistiche di ogni edificio, nonché una mappatura delle loro ubicazioni geografiche. Solo attraverso una ricerca approfondita sarà possibile acquisire una conoscenza dettagliata del patrimonio presente nella regione. La storiografia che riguarda i comuni di riferimento è molto datata e – nonostante vi siano diversi studi di autorevoli storici e storici dell’arte[2] – risulta essere spesso confusa da alcuni dilettanti con leggende che nascono da una scarsa ricerca delle fonti archivistiche e non solo. Inoltre, le fonti sembrano ripetersi sui soliti argomenti, senza indagare aspetti storici e artistici rilevanti che riguardano monumenti e opere d’arte, i quali finiscono per essere vittime di una sorta di damnatio memoriae. Un caso specifico si è rivelato studiando le fotografie dell’Archivio Fotografico della Soprintendenza de L’Aquila; a Castel Castagna – uno fra i comuni della Valle, nei pressi dell’antico monastero di Santa Maria di Ronzano – c’era una piccola chiesa, di forma rettangolare, nota come Santa Maria delle Grazie, oggi andata perduta e del tutto dimenticata dalle fonti. All’interno della chiesa era custodito un affresco quattrocentesco di una Madonna con Bambino che, sopravvissuto alla distruzione, è stato ricollocato all’interno della vicina chiesa di Santa Maria di Ronzano. A parte una breve notifica di Mario A. Pavone, non vi sono altri studi su questo interessante affresco, in contatto con la produzione figurativa marchigiana del XV secolo (Pavone, 1984); allo stesso modo non vi sono studi che raccontano la storia dell’antica chiesa, e del motivo della sua distruzione, dato che in una foto novecentesca, pur essendo in evidenti condizioni di abbandono, risultava ancora in piedi. La memoria popolare e il racconto orale sono gli unici alleati che, in casi come questo, riescono a supportare lo studioso e la ricerca territoriale. È già in questa prima fase del lavoro che la comunità è chiamata a partecipare: i ricordi degli abitanti, soprattutto i veterani, sono strumenti preziosi per incrementare la ricerca, ma soprattutto permettono di coinvolgere i residenti sul territorio nel processo di valorizzazione del patrimonio.

La seconda fase è quella della “collaborazione” con le istituzioni, con gli esperti e, ovviamente, con la comunità. Dopo aver accuratamente raccolto le prime informazioni sul territorio è doveroso presentare la proposta e cooperare attraverso incontri pubblici, consultazioni, sondaggi per raccogliere opinioni, idee e interessi della comunità riguardo alla creazione dell’ecomuseo e sul suo significato. Questo serve a definire gli obiettivi, la missione e la visione dell’ecomuseo e a creare un piano strategico che includa la definizione dei temi chiave, delle attività, delle esposizioni, degli eventi e dei programmi educativi. Un passaggio fondamentale potrebbe essere la creazione di una rete di partenariato che miri a identificare e coinvolgere organizzazioni locali, istituzioni culturali, enti pubblici e privati, associazioni locali e altri stakeholders che potrebbero essere interessati a partecipare.

L’ultima fase, la più impegnativa è quella che riguarda la creazione in digitale di un ecomuseo che – attraverso degli itinerari culturali, raccontati in primis alla comunità e in secondo luogo a un possibile turista – narri la storia, l’arte e le tradizioni del territorio[3]. La costruzione in digitale può essere eseguita attraverso numerosi software che utilizzano il GIS (Geographic Information System); tra i più intuitivi vi è StoryMaps di ArcGIS[4], potente strumento per la visualizzazione e la narrazione interattiva dei dati geografici. Una delle principali caratteristiche delle StoryMaps è la versatilità: può essere utilizzato in diversi contesti e settori, come la divulgazione scientifica, l’educazione, il turismo, la pianificazione territoriale e la comunicazione istituzionale. Inoltre permette un coinvolgimento interattivo del pubblico, consentendo di esplorare le mappe, interagire con i contenuti e approfondire le informazioni. Le “storie” possono essere create utilizzando l’interfaccia intuitiva di ArcGIS Online, una piattaforma basata su “cloud” per la gestione, l’analisi e la visualizzazione dei dati geografici. Gli utenti possono scegliere tra diversi modelli predefiniti, personalizzare il “layout”, aggiungere testi, immagini e video, e arricchire la narrazione con elementi interattivi come “popup” informativi, pulsanti di scorrimento e collegamenti esterni. Questa fase del lavoro è strettamente legata alla prima. Andranno inseriti tutti i dati raccolti, dando spazio alla memoria locale nella narrazione dei luoghi, accompagnata dal racconto storico.

La costruzione della StoryMaps sulla Valle Siciliana è collegata al progetto di ricerca che sto portando avanti da due anni nell’ambito di una particolare tipologia di dottorato chiamato “dottorato comunale”[5]. Gli scopi del progetto sono strettamente legati allo sviluppo sostenibile del territorio e del turismo culturale, attraverso la ricerca e il coinvolgimento della comunità. Per questo motivo la struttura dell’itinerario dovrà risultare chiara e comprensibile, accompagnata da una narrazione semplice e breve. Se fino a qualche tempo fa una conoscenza, perlomeno basilare, dello sviluppo storico rappresentava uno dei pre-requisiti per accostarsi alle narrazioni del patrimonio culturale, anche da turisti, oggi sappiamo che non è più così. In particolar modo il turismo culturale richiede sempre più immersività ed emozionalità, innescata dal contatto diretto; tuttavia una narrazione impattante, breve, va a scapito, alle volte, della profondità storica (Del Pozzolo, 2021). È qui che deve subentrare la caparbietà dello studioso o di chi racconta: bisogna evitare versioni edulcorate del passato e creare godimento intellettuale, enjoyment (Caranditi, 2014), senza distorcere la storia, ma attraverso supporti che vanno dalla narrativa alla realtà aumentata, da registrazioni a curiosità della memoria locale che stimolano l’interesse non esclusivo della comunità abitante ma anche del possibile turista. Un esempio è rintracciabile nella StoryMap sulla Valle Siciliana: la narrazione scritta è stata alternata a riproduzioni sonore. Si è deciso di inserire alcuni canti devozionali realizzati dalle “Cantrici del Gran Sasso” e recuperati nell’Archivio sonoro Abruzzo[6]. Le registrazioni audio testimoniano l’esistenza di una cultura popolare ancora viva nella metà del Novecento e ancora praticata in determinate circostanze come feste di natura religiosa, processioni, pellegrinaggi. Le voci delle donne – abili interpreti della tradizione orale ed esperte nell’adattare le proprie voci a toni che possono essere pacati e intimi o aspri e potenti – hanno la capacità taumaturgica di rievocare alla memoria della comunità antichi canti della cultura popolare e di permettere al turista una visita completamente immersiva.

Un’ulteriore funzionalità che potenzierebbe l’esperienza del turista, evitando lo “smarrimento”, e accrescerebbe il senso di appartenenza della comunità, potrebbe essere il contatto diretto con gli abitanti del luogo che diventerebbero “guida” del territorio, o meglio, dell’ecomuseo. Selezionando con attenzione alcuni luoghi, limitrofi alla presenza di un’attività commerciale o di una residenza specifica, il commerciante e il residente potrebbero affiancarsi alla guida digitale e raccontare egli stesso le memorie del monumento o particolari curiosità che lo riguardano. In tal caso i vantaggi sarebbero molteplici: il commerciante aumenterebbe la possibilità di far notare la propria attività, creandosi una pubblicità implicita; il turista-ospite, oltre a scongiurare l’effetto “disorientamento”, si sentirebbe parte della comunità, vicino al territorio e “interno” alla cultura e alla vita quotidiana del luogo; ovviamente, il ruolo di mediatore culturale rivestito dall’ospitante accrescerebbe il sentimento d’orgoglio locale, oltre che l’attenzione per il proprio territorio.

Tale pratica – sintesi dell’esperienza Comunità ospitali, del concetto di ecomuseo e dell’utilizzo del “digital” – fornisce, come abbiamo visto, numerosi vantaggi. Nel computo totale sono però da considerare anche alcune implicazioni che potrebbero riguardare il turista. In primo luogo, la comunità potrebbe non essere disponibile a svolgere il ruolo di mediatore culturale della memoria; per tale motivo è sempre necessaria la presenza di una descrizione scritta. Inoltre potrebbe concretizzarsi il rischio che la formazione di un ecomuseo digitale penalizzi la visita reale; la piattaforma deve essere intesa come un ausilio alla visita e non come sostitutiva della stessa. L’interazione con il territorio, l’ambiente naturale e i residenti rimangono fondamentali per una comprensione completa e autentica del patrimonio e parte fondante del progetto. Tuttavia, in alcuni casi particolari, l’aspetto del “remoto” può essere impugnato come sostitutivo: l’ecomuseo digitale potrebbe essere una valida alternativa alla visita reale per le categorie svantaggiate di visitatori (Di Carlo, 2023). Un discorso più specifico, infatti, va affrontato nel caso di persone diversamente abili, le quali non solo affrontano sfide significative quando si tratta di visitare luoghi fisici – a causa di barriere architettoniche, difficoltà motorie o sensoriali – ma anche nell’accesso a Internet[7]. La questione diventa poi più complessa nel momento in cui bisogna considerare varie tipologie di disabilità[8], le quali richiedono ognuna una riflessione precipua. Nel caso specifico di portatori di handicap motori, ad esempio, è stato notato come, al fine di promuovere una corretta fruizione patrimoniale e territoriale, gli itinerari digitali dovrebbero arricchirsi dell’utilizzo di ambienti virtuali, i quali permettono il coinvolgimento dei sensi dell’utente (Salatti, 2015).

Concludendo, l’ecomuseo riveste un ruolo di notevole importanza per le aree interne, in particolare per i comuni della Valle Siciliana, poiché contribuisce in modo significativo sia alla comunità residente che al turismo, promuovendo uno sviluppo sostenibile. Questo approccio innovativo alla valorizzazione del patrimonio artistico, storico e culturale della regione crea un legame profondo tra gli individui e il territorio, favorendo la conservazione delle tradizioni e delle identità locali. Attraverso l’ecomuseo, la comunità locale ha l’opportunità di riscoprire e riappropriarsi delle proprie radici, incoraggiando la consapevolezza e la valorizzazione delle tradizioni. La partecipazione attiva della popolazione nel processo di gestione e tutela del patrimonio culturale consente una migliore conservazione delle risorse e promuove un senso di appartenenza e di responsabilità verso il proprio territorio. Parallelamente, l’ecomuseo ha un impatto significativo sul turismo locale, attraendo l’interesse dei visitatori attraverso la valorizzazione delle risorse culturali e paesaggistiche della Valle Siciliana, generando opportunità economiche per la comunità locale e favorendo un modello di turismo sostenibile che si basa sulla valorizzazione delle risorse esistenti anziché sullo sfruttamento indiscriminato, contribuendo così a uno sviluppo equilibrato e a lungo termine del territorio.

Note

[1] La Valle Siciliana è un comprensorio territoriale in provincia di Teramo comprendente i comuni di Isola del Gran Sasso, Tossicia, Castelli, Castel Castagna, Colledara. La sua storia ha visto il dominio di tre potenti famiglie feudali: i Pagliara, gli Orsini e gli Alarçon-Mendoza. I Pagliara, della stirpe dei Conti dei Marsi, ne detennero il possesso per circa cinque secoli, fino a Tommasa, l'ultima della stirpe e a Maria che andò sposa intorno al 1340 a Napoleone Orsini, portandogli in dote titolo e feudo. Il dominio degli Orsini, durato per circa due secoli, è stato tra i più turbolenti della storia di Isola, passando nell'arco di circa settant’anni, nelle mani di altre famiglie feudali. L’ultimo degli Orsini fu Camillo Pardo il quale, per la fedeltà espressa verso la casa di Francia, fu privato di tutti i beni, compresa la Valle Siciliana, che venne consegnata a Carlo V e nel 1526 donata agli Alarçon y Mendoza, i quali detennero il possesso fino al 1806 (Di Eleonora, 2000).

[2] Tra i numerosi ricordiamo Émile Bertaux, Ferdinando Bologna, Ignazio Gavini, ma anche Igino Addari, Silvio Di Eleonora, Berardo Pio.

[3] Molte città italiane stanno facendo uso di “ecomusei digitali”, un esempio è Siena. “L’Ecomuseo digitale delle terre di Siena è ideato e realizzato dalla Fondazione Musei Senesi, il sistema museale della provincia di Siena che dal 2003 coordina e promuove il patrimonio culturale del territorio. Il progetto sviluppa la nozione di museo diffuso, già alla base del modello gestionale della Fondazione Musei Senesi, per promuovere un percorso interdisciplinare di riflessione sul senso del paesaggio inteso come ambiente di vita e luogo di presenza” (Fondazione Musei Senesi, www.eco.museisenesi.org).

[4] ArcGIS è una piattaforma di software GIS sviluppata da Esri (Environmental Systems Research Institute). Esri è un’azienda leader nel settore dei sistemi informativi geografici e offre una vasta gamma di software, servizi e soluzioni per la gestione, l’analisi e la visualizzazione dei dati geografici.

[5] Il Decreto Legge 34/2020 (Legge 77/2020: articolo 243, comma 1, capoverso 65-sexies) ha istituito i dottorati comunali, i quali hanno come obiettivo la definizione, l’attuazione, lo studio e il monitoraggio di strategie locali finalizzate allo sviluppo sostenibile, in linea con l’Agenda ONU 2030. In particolare, tali dottorati si concentrano sulla transizione ecologica, la transizione digitale, il contrasto alle diseguaglianze sociali ed educative, il potenziamento delle attività economiche e il rafforzamento delle capacità amministrative. Le borse di dottorato finanziate riguardano specifiche aree disciplinari e tematiche coerenti con la Strategia nazionale per le aree interne e mirano a: a) Garantire l’offerta e l’accessibilità totale dei servizi essenziali, come il trasporto pubblico locale, l’istruzione e i servizi socio-sanitari, agli abitanti delle aree interne. b) Promuovere la valorizzazione del territorio e delle comunità locali, riconoscendone la ricchezza e sostenendone lo sviluppo. c) Valorizzare e preservare le risorse naturali e culturali delle aree interne, favorendo la creazione di nuovi percorsi occupazionali che siano in armonia con l’ambiente circostante. d) Contrastare il fenomeno dello spopolamento demografico e culturale che affligge le aree interne, adottando misure atte a favorire la permanenza delle persone e la crescita delle comunità. I dottorati comunali, come previsto, sono soggetti all’accreditamento da parte del Ministro dell’Università e della Ricerca, secondo la prassi consolidata. Tali iniziative rappresentano un importante strumento per promuovere lo sviluppo sostenibile delle aree interne, favorendo la ricerca, l’innovazione e la collaborazione tra istituzioni, comunità locali e settore accademico.

[6] www.archiviosonoro.org/archivio-sonoro/archivio-sonoro-abruzzo.html.

[7] I risultati di un sondaggio condotto dall’Istat evidenziano una notevole disparità tra la popolazione generale e coloro con limitazioni nell'utilizzo del computer e di Internet (Istat, 2006).

[8] In particolar modo, possiamo distinguere le persone con disabilità in quattro categorie: portatori di disabilità sensoriale; portatori di disabilità motorie; portatori di disabilità intellettive, portatori di disabilità psichica.

Riferimenti bibliografici

Badiani B., Il riuso del patrimonio edilizio: una scelta di comunità, in G. Osti e E. Jachia (a cura di), AttivAree, un disegno di rinascita delle aree interne, il Mulino, Bologna 2020.

Carandini A., Intervista, Idea a confronto per la salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico, in L. Carletti e C. Giometti (a cura di), De-tutela, ETS, Pisa 2014.

D’Antonio M., Abbazie benedettine in Abruzzo, Carsa, Pescara 2003.

Dei F., Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna 2012.

Del Pozzolo L., Il patrimonio culturale tra memoria, lockdown e futuro, Editrice Bibliografica, Milano 2018.

Di Carlo C., Art-tap: per una fruizione del patrimonio artistico di Alfredo Paglione, in C. Corsi e P. Coen (a cura di), Le professioni del comunicare: passato, presente, futuro, Quasar, Roma 2023.

Di Eleonora S. (a cura di), La Valle Siciliana o del Mavone: Isola del Gran Sasso, Castelli, Castel Castagna, Colledara, Tossicia, Andromeda, Colledara 2000.

Gambino S., Geografie dell’abbandono e valorizzazione del patrimonio rurale: l’ecomuseo delle tholos in Sicilia, in G. Cavuta e F. Ferrari (a cura di), Turismo e aree interne, Aracne, Canterano 2018.

Fondazione Musei Senesi, Il progetto, url: https://eco.museisenesi.org/progetto.

Maccherini M., L’arte aquilana del Rinascimento, L’urna, L’Aquila 2010.

Mammarella L., Abbazie e monasteri benedettini in Abruzzo, Polla, Cerchio 1993.

Pavone M. A., Madonna in trono con il Bambino Chiesa di Santa Maria di Ronzano, in L. Franchi dell’Orto (a cura di), La Valle Siciliana o del Mavone, De Luca, Teramo 1983.

Salatti E., Disabili digitali: dal Web agli Ambienti virtuali, in Seminario di Cultura Digitale, Università degli Studi di Pisa, Pisa 2015.

Scarselli M., Castelli terra della badia di San Salvatore, Solfanelli, Chieti 1979.

Vitale C., La valorizzazione del patrimonio culturale nelle Aree Interne, in “Aedon. Rivista di arti e diritto on line”, n.3, 2018.

Zupi M., Sviluppo locale tra paesaggio e identità. L’esperienza dell’ecomuseo della Valle del Raganello, Lulu Internationale Press, New York 2012.

L'autrice

Chiara Di Carlo è storica dell’arte e dottoranda presso l’Università degli Studi di Teramo, con un progetto di ricerca incentrato sul patrimonio storico e artistico della Valle Siciliana. Ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università la Sapienza di Roma, specializzandosi in iconografia, iconologia e arte sacra; ha inoltre contribuito a progetti di ricerca e seminari sulla Terra Santa tra il Cinque e il Seicento. Nel 2022 ha partecipato alla Summer School CHILD, focalizzata sul patrimonio culturale e lo sviluppo locale. Nel 2023 ha partecipato al progetto europeo VR Science Tour presso il Centro Ciência Viva de Bragança. Ha condotto ricerche e pubblicazioni sulla digitalizzazione dell’arte, l’iconografia e l’iconologia sacra, le aree interne e la tutela del patrimonio.