Paulo Freire e le esperienze di resistenza urbana nel Brasile contemporaneo. Frammenti e riflessioni di un viaggio a San Paolo | Paulo Freire and the experiences of urban resistance in contemporary Brazil

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Abstract

Questo contributo nasce da un breve viaggio. Un viaggio decoloniale nelle sue intenzioni, nel senso che al termine dà Quijano[1]. Fatto da tre persone lavorativamente impegnate in un contesto invece estremamente coloniale, come il sistema di accoglienza richiedenti asilo e rifugiati italiano[2], ma anche attive nel frammentario e dispersivo mondo dell’associazionismo e dei movimenti sociali. Circostanze e frustrazioni che ci hanno spinto a cercare a Sud alcune risposte. O meglio, alcune nuove domande su come condividere luoghi e tempi con gli oppressi senza riprodurre dinamiche di oppressione. Un viaggio reso possibile grazie al percorso fatto con il circolo Freire di Padova ed al sostegno dell’Istituto Paulo Freire Italia e della Rete italiana Freire Boal, che ci hanno permesso di entrare in contatto con alcune realtà sociali del Brasile. Gran parte della nostra esperienza, iniziata il 6 marzo 2020, è stata in realtà completamente stravolta dall’emergere della pandemia di COVID-19, che ha ridotto quasi del tutto la nostra mobilità alla sola città di San Paolo e ad un numero molto limitato di incontri. Nonostante ciò, abbiamo avuto l’occasione di incontrare alcuni testimoni dell’eredità del pensiero e della pratica di Paulo Freire e conoscere la visione prospettica che sono capaci di generare. Anche in una congiuntura politica reazionaria come quella del Brasile contemporaneo. Il contatto con queste esperienze, plurali e variegate, di resistenza in un contesto urbano complesso, e le riflessioni da esso scaturite sono l’oggetto di questo articolo.


Introduzione

L’eredità di Freire è immanente nella città di San Paolo, e non potrebbe essere altrimenti, avendo egli là vissuto al suo rientro dall’esilio, nel 1979. Un periodo coinciso con il suo impegno politico con il Partido dos Trabalhadores (PT), in coerenza con la sua impossibilità di immaginare teoria e pratica, riflessione ed azione, come due attività distinte[3]. Direttore del programma di alfabetizzazione degli adulti prima, segretario all’educazione dello stato di San Paolo poi, a seguito della vittoria del PT nelle elezioni locali del 1986, come racconta Reggio: “La sua azione in questo ruolo venne orientata verso la riduzione del fenomeno dell’abbandono scolastico, il supporto del successo formativo degli allievi e la formazione degli insegnanti ad una didattica coerente con l’impostazione pedagogica critica e problematizzante. La sua visione politica dell’educazione, anche scolastica, si tradusse in rapporti intensi tra scuole e contesto sociale, in particolare con le numerose realtà educative di carattere non formale presenti sul territorio”[4].

Un periodo di opportunità di democratizzazione ancora palpabile nei racconti e nell’immaginario di chi, a vario titolo e da varie posizioni, utilizza oggi l’educazione liberatrice nelle proprie prassi. Queste, tristemente, non possono che essere prassi di resistenza, considerato il contesto politico locale, nazionale e continentale di regressione delle istanze popolari e di ritorno al potere delle elites neoliberali e militari, delle quali il governo federale di Jair Bolsonaro è soltanto il più spettacolarizzato dei molteplici volti[5].  Qui ci concentreremo in particolare sulle pratiche delle istituzioni educative e dei movimenti sociali che abbiamo avuto modo di incontrare.

L'eredità di Freire e le istituzioni educative

Nel tranquillo quartiere di Vila Madalena, nel seminterrato di un palazzo piuttosto anonimo, si trova la sede dell’Instituto Paulo Freire (IPF). Creato dallo stesso Freire nel 1991 per unire persone e istituzioni accomunate dal sogno di un’educazione umanizzante e trasformatrice[6]. Intorno alla scrivania in marmo dei “circoli di cultura”, i libri del pedagogista e di altri esponenti delle pedagogie critiche mondiali.

Sul sito ufficiale si legge: “la missione dell’Instituto Paulo Freire è quella di “educare per trasformare”, dando continuità e reinventando l’eredità  freiriana nel promuovere un’educazione emancipatoria, combattendo tutte le forme di ingiustizia, di discriminazione, di violenza, di pregiudizi, di esclusione (o degrado delle comunità di vita), in vista della trasformazione sociale e del rafforzamento della democrazia partecipativa, dell’etica e della garanzia di diritti”[7].

Al centro dell’opera dell’IPF ci sono i circa 14 milioni di analfabeti presenti in Brasile. Nel percorso comune con loro, sono nati progetti, consulenze, ricerche, e formazioni basate sui principi di orizzontalità e lavoro collettivo, che utilizzano una metodologia dialogica ed inclusiva, rispettosa della diversità, delle differenze e delle somiglianze tra culture e popoli, basata sull’incoraggiamento dell’autorganizzazione e dell’autodeterminazione.

Fra questi, il progetto di alfabetizzazione iniziato dallo stesso Paulo Freire a San Paulo nel 1989, il MOVA-Brasil (Movimento de Alfabetização de Jovens e Adultos), promotore di processi di alfabetizzazione basati sulla lettura critica della realtà, nel tentativo di contribuire allo sviluppo della consapevolezza critica degli studenti e degli educatori. Rafforzando, oltre che l’apprendimento, la partecipazione popolare, la lotta per i diritti sociali e il diritto fondamentale all’istruzione pubblica e popolare[8].

L’elezione di Bolsonaro, che dell’“energumeno, idolo della sinistra[9] Paulo Freire ha voluto fare un simbolo da distruggere, ha messo l’Instituto in seria difficoltà. Nel periodo pre-elettorale sono arrivate minacce di incendio della struttura e di morte per la direttrice, Angela Biz Antunes, come da lei stessa raccontatoci. Successivamente alle elezioni, poi, l’Instituto ha perso quasi la totalità dei finanziamenti, che erano notevolmente aumentati nei periodi dei governi del PT. In un anno, i suoi dipendenti solo nella città di San Paolo, sono passati da 120 a 13…

Abbiamo vissuto di persona il trasloco in uffici più piccoli, il dolore di abbandonare la propria scrivania e riempire scatoloni che non troveranno spazio dei prodotti del lavoro di anni. Rivivendo quello da noi provato solo pochi mesi prima, durante la distruzione del sistema d’accoglienza da parte di Minniti e Salvini.

Ciononostante, l’equipe dell’Instituto prosegue nel suo lavoro con fiducia e pazienza storica[10], cosciente che questo periodo non durerà per sempre. Si occupa molto della conservazione della memoria, dell’archiviazione del lavoro di Freire online e della formazione, sempre online, a educatori popolari di tutto il mondo. Inoltre, il personale dell’Instituto continua ad essere punto di riferimento per quelle insegnanti delle scuole pubbliche di San Paolo e del Brasile che continuano a perseguire gli obiettivi dell’educazione inclusiva, in particolare nelle zone periferiche della città. Perché, come scriveva lo stesso Freire: “oggi tanto quanto ieri, direi - con più elementi oggi di ieri - sono convinto dell’importanza, dell’urgenza della democratizzazione della scuola pubblica, della formazione permanente degli insegnanti e del personale non docente”[11].

L’attuale personale dell’Instituto e la sua direttrice sono stati protagonisti, da insegnanti, del processo di democratizzazione portato avanti da Freire come segretario all’istruzione. Questo processo ha favorito la partecipazione di alunni e genitori alla costruzione dei programmi scolastici, le forme di gestione non verticistica dei consigli di classe e d’istituto, l’ingresso della società civile e dei movimenti sociali all’interno delle scuole. L’ambizione era di favorire la presa di coscienza da parte delle insegnanti, spesso provenienti da classi sociali più agiate, della condizione reale vissuta da alunni ed alunne delle scuole di periferia, permettendo loro di comprenderne i punti di vista e le visioni del mondo.

Spesso, infatti, gli alunni delle scuole di periferia hanno concezioni delle relazioni gerarchiche, di quelle tra pari, della violenza, completamente diverse da quelle dei loro insegnanti, con cui condividono gli spazi fisici, i discorsi, ma non i significati a questi connessi. La stessa Angela Antunes, che prima di lavorare all’Instituto Paulo Freire era insegnante in una scuola della zona est di San Paulo, racconta degli episodi molto forti da questo punto di vista. “Dopo circa un mese d’insegnamento venne a cercarmi un’alunna di 14 anni [...], raccontandomi di avere una relazione con un menino di favela (ragazzo della favela) [...] di 17 anni, ma che si era innamorata del fratello di un’altra mia alunna [...]. Mi chiese un’opinione su cosa avrebbe dovuto fare [...] dal momento che il ragazzo con cui stava non accettava di finire la relazione. Le dissi che non doveva lasciarsi sottomettere a quel tipo di pressione. Stimolata da me e altri colleghi, l’alunna decise di interrompere la relazione ed iniziarne un’altra con il ragazzo di cui era innamorata. Una settimana dopo il menino di favela uccise il nuovo fidanzato [....] nelle vicinanze della scuola. Non riuscì ad uccidere la mia alunna solo perché lei fuggì nel labirinto della favela [...]”[12].

Angela non vide più la sua alunna perché si trasferì in un altro quartiere della città.  Questo avvenimento la portò a ragionare in maniera significativa sulle sue forme di lettura del mondo. “Dopo aver ‘superato’ lo shock, ho iniziato a riflettere su alcune parole della mia alunna, che, solo dopo la tragedia, sono riuscita a capire più a fondo. La mia storia di vita, le esperienze che avevo fatto non mi permettevano di capire il vero significato dell’espressione ‘non accetta che io finisca la relazione’ [...]. Questa realtà non faceva parte del mio universo”[13]

Essere consapevoli delle profonde differenze di significato date agli eventi che si vivono insieme permette all’insegnante di problematizzare la condizione di vita degli alunni, smettendo di considerarla immutabile. Lavorare su una lettura del mondo condivisa con gli alunni e con la comunità permette poi di iniziare quel percorso di individuazione dei temi generatori necessari a comprendere ed intervenire criticamente nella realtà.

Oltre agli strumenti pedagogici, la democratizzazione della scuola di San Paolo degli anni ‘80 ne ha creato anche di istituzionali. Ad esempio, nella scuola pubblica dello Stato il singolo rappresentante degli insegnanti ha più poteri che in altre scuole, come la possibilità di convocare un’assemblea generale anche contro il volere della direzione. L’IPF è a disposizione degli insegnanti che vogliano incrementare la loro conoscenza degli uni e degli altri, e sono molti a farvi ancora riferimento.

Educatori che ripongono ancora una fortissima speranza nella scuola “pubblica”, e danno a questo termine un alto valore, continuano a formarsi, interrogarsi e mettersi in discussione anche con risorse inadeguate, in una nazione che si pone oggi in atteggiamento apertamente ostile a queste pratiche. 

Altra istituzione educativa con cui siamo entrati in contatto è FLACSO (Facultade Latino Americada de Ciencas Sociais). Un’istituzione creata in seno alle Nazioni Unite con lo scopo di incentivare la ricerca accademica in America Latina e Caraibi, presente in 19 paesi. La sede di FLACSO di San Paolo è coordinata da un’altra figura protagonista del periodo di democratizzazione, l’ex direttrice dell’IPF Salete Valesan Camba. Ciò ha fatto sì che questa sede abbia un approccio freiriano alla propria missione di ricerca. Non è concepita la possibilità di una ricerca accademica che non abbia già in sé un obiettivo di connessione tra teoria e pratica e di modifica della realtà insieme agli oppressi, ed è molto raro che i progetti della sede paulista di FLACSO non abbiano questa impronta.

Ci è sembrato che la Facultade abbia fatto proprie le parole di Freire quando azione e riflessione sono “talmente solidali, strette da un’intenzione così radicale che, sacrificandosi anche parzialmente una delle due, immediatamente l’altra ne risente”[14]. Inoltre, non costituendo un simbolo come l’IPF, FLACSO riesce a non subire l’accanimento del governo Bolsonaro.

Abbiamo conosciuto il progetto Cinetec[15] che aveva l’obiettivo di dare un’opportunità lavorativa nel mondo audio-visivo del cinema ai giovani delle periferie. Nel progetto i formatori hanno cercato di innescare processi di formazione che incoraggiassero i giovani ad essere più partecipativi, critici, responsabili e impegnati nella trasformazione sociale.

Accompagnandoli nel comprendere più criticamente la realtà vissuta, i partecipanti sono diventati in grado di agire sulla realtà, trasformandola.[16]  I giovani hanno inoltre potuto avere la possibilità di tornare nei loro territori con le competenze necessarie per produrre contenuti audiovisivi che contribuiscono all’autostima locale e allo sviluppo delle proprie imprese[17].

Abbiamo poi conosciuto il lavoro di Jenny Margoth de la Rosa, dottoranda peruviana di FLACSO che, attraverso un progetto di edu-comunicazione facilita il dialogo fra comunità migranti della città nello scambio di buone prassi per il confronto efficace con il sistema burocratico della regolarizzazione dei documenti. Sistema che, in Brasile come in Italia, crea centinaia di micro-ostacoli a chi non comprende lingua e contesto. Jenny ci racconta che questo lavoro di ricerca-azione sta permettendo la nascita di lideranzas comunitarias, leadership frutto della capacità di problematizzare ed affrontare questi ostacoli e non di posizioni gerarchiche predeterminate o di semplice ed ingannevole carisma. Sul solco dell’affermazione di Paulo Freire, che dice “se l’impegno della leadership è veramente quello della liberazione, il suo ‘che fare’ (azione e riflessione) non può esistere senza l’azione e la riflessione degli altri”[18].

Nel conoscere questi progetti abbiamo potuto vedere che, quando “tra parola (lingua) e mondo (realtà) si viene a stabilire un rapporto dialettico e dinamico, attraverso il quale si costituisce la conoscenza”[19] si possono raggiungere i più esclusi e discriminati e renderli soggetti attivi e di cambiamento sociale.

L'eredità di Freire e i movimenti sociali

Freire riconosce nei movimenti sociali “una funzione insostituibile di alimentazione della partecipazione popolare alla vita democratica ed un’implicita valenza pedagogica”[20]. Sono infatti contesti dove le persone possono vivere esperienze di trasformazione collettiva della realtà. O, come meglio spiega Mariateresa Muraca, “la relazione complessa tra educazione e movimenti sociali è presente nell’etimologia stessa della parola educazione, che descrive un movimento. Più specificatamente, l’analisi della letteratura permette di circoscrivere quattro dimensioni a partire dalle quali leggere il nesso tra movimenti sociali e educazione: i movimenti sociali possono essere compresi come soggetti politico-educativi; contesti di apprendimento; laboratori di decolonizzazione del sapere; spazi generativi di teorie”[21].

Se si parla di movimenti il più conosciuto a livello internazionale è senza dubbio il Movimento dos trabalhadores rurais Sem Terra (MST), considerato anche uno dei movimenti sociali più maturi dell’America Latina, per l’importanza delle sue rivendicazioni, l’omogeneità delle strategie di lotta e il suo radicamento in quasi tutto il Brasile[22].

Benché le sue pratiche riguardino soprattutto le rivendicazioni legate alla terra nei contesti rurali, l’MST ha sviluppato negli anni una fortissima capacità di lettura della realtà grazie alla presenza, tra militanti, di una forte e variegata componente intellettuale e della capacità, molto sviluppata in tanti movimenti sudamericani, di costruzione di analisi condivise della realtà. Per questo motivo tra i saperi che ha sviluppato è inclusa anche la coscienza critica dei rapporti campagna-città e del ruolo cruciale che essi giocano. Il sovrappopolamento urbano del Brasile, infatti, altro non è che conseguenza della privazione di sovranità dei contadini sulle loro terre. Durante la dittatura militare degli anni ‘60 e ‘70 del ‘900, l’implementazione di un modello agricolo neo-liberale ha comportato migrazioni di massa e le conseguenti urbanizzazione selvaggia ed estrema povertà urbana[23]. Il modello dell’agro-business, tramite il quale il Brasile è diventato granaio del mondo attraverso l’uso di tecniche industriali che diminuiscono sempre di più il bisogno di manodopera agricola[24], continua a peggiorare questo fenomeno.

Da questo punto di vista, il principale strumento di contrapposizione dell’MST sono sicuramente le occupazioni delle terre e la costruzione di comunità rurali in lotta all’interno di esse. Tuttavia, non è possibile ignorare le ormai decine di milioni di poveri urbani che questo fenomeno ha provocato, e la preoccupante depoliticizzazione che li rende estremamente più vulnerabili alle strategie comunicative del potere.

San Paolo, con i circa 20 milioni di abitanti che si crede abitino la sua area urbana, che allo sguardo sembra non terminare mai, vive condizioni tra le più estreme a livello mondiale. Qui, l’MST ha investito sulla sua presenza. A San Paolo, come in ogni altra grande città del Brasile, è presente un Armazéen do campo[25], luogo dove i prodotti contadini degli insediamenti Sem Terra sono disponibili alla popolazione urbana. Strategicamente più somiglianti ai negozi hipster di una città europea che ad un luogo militante, questi luoghi sembrano avere un ruolo cruciale nel comunicare il valore dell’agro-ecologia come modello alternativo all’agro-business.

Inoltre, non a caso è proprio a San Paolo che, nel municipio di Guararema, migliaia di militanti MST hanno costruito la Escola Nacional Florestan Fernandes, il più grande luogo di formazione del MST, dedicato all’ “elevazione della coscienza politica” della militanza[26]. Lì arrivano intellettuali e militanti da tutto il mondo, così come dagli insediamenti Sem Terra di tutto il Brasile. Infatti, se sono gli ambienti rurali quelli dove si origina e sviluppa la mistica del Movimento, ossia quell’insieme di simboli, letterature e canti che generano identità e senso di appartenenza e ne costituiscono una componente ideologica fondamentale[27], è chiaro al MST che l’altra componente, l’analisi critica della realtà, non può che essere il prodotto del dialogo tra istanze contadine, urbane e lavoro di intellettuali brasiliani e non. Molto forte in questo luogo è, ad esempio, la collaborazione con l’Università pubblica di San Paolo, UNESP.

L’analisi critica della realtà, tuttavia, rende abbastanza chiaro come sia irrinunciabile anche il coinvolgimento diretto di chi vive le periferie urbane, perché non sia abbandonato a sé stesso. È studiato, ad esempio, come la rabbia delle masse di poveri urbani verso il vecchio governo del PT sia stata fondamentale nel portare consenso all’alleanza tra l’apparato economico-militare e le chiese evangeliche che hanno sostenuto l’elezione di Bolsonaro[28].

La Escola Nacional Paulo Freire, nel quartiere Ipiranga della città, risponde proprio ad un tentativo di contrastare questa tendenza da parte di Chiesa e Movimenti. Aperta nel 2019 in una grande ed abbandonata struttura dei frati Dominicani e grazie al sostegno del MST, è gestita da militanti del Levante Popular da Juventude.  Movimento nato nel 2006 proprio per incentivare la partecipazione giovanile alla costruzione di un Brasile alternativo e popolare, che conta ad oggi varie migliaia di militanti in tutto il paese. Come la scuola Fernandes, anche la Escola Nacional Paulo Freire ha tra i suoi obiettivi quello della formazione dei militanti del Levante Popular. Il metodo di formazione ed il nome dato a questa esperienza fanno parte della stessa scelta: infatti, la formazione politica viene perseguita attraverso la lettura condivisa del mondo, in un percorso di coscientizzazione. Utilizzando nuovamente le parole di Muraca, coscientizzazione “non indica un atteggiamento intellettuale di fronte alla realtà o una semplice presa di coscienza. Al contrario, implica un inserimento critico nella storia, che può realizzarsi esclusivamente attraverso una dinamica di azione e riflessione. La coscientizzazione non è una premessa della lotta ma un frutto della lotta. Solamente la formazione di una coscienza capace di comprendere criticamente la realtà, infatti, rende possibile l’azione creatrice degli esseri umani sul mondo attraverso cui si esprime la loro piena umanità. Ma la formazione di questa coscienza dipende dal radicamento degli esseri umani nella propria realtà e da un crescente impegno con essa”[29].

Proprio questo radicamento nella realtà ha fatto sì che i militanti impegnati nella scuola non si siano accontentati di costruire occasioni esclusivamente a beneficio del proprio movimento di appartenenza. Infatti, la scuola ha anche l’obiettivo di avvicinare la popolazione di un quartiere complesso come Ipiranga alle prospettive di costruzione democratica della realtà. I suoi militanti erano quindi impegnati nel processo di ricerca dei temi generatori in cui “il soggetto, leggendo il mondo, individua le questioni significative per sé, rilevanti per la propria vita”[30]. Partendo da questi argomenti “si rintracciano le questioni nevralgiche che le persone riconoscono in quel mondo concreto”[31].

È partendo da fatti di vita quotidiana, come il prezzo della benzina o del pane, che i partecipanti alle formazioni della scuola mettono a disposizione le proprie visioni del mondo e si mettono in ascolto ed in dialogo con quelle degli altri. In questo modo, si inizia collettivamente a leggere gli aspetti più complessi del mondo, a decodificare le strutture di potere che determinano questi fatti. Costruire la formazione tramite pratiche di coscientizzazione permette a militanti e persone del quartiere di mantenere vivo il legame tra vita quotidiana, attivismo ed appartenenza ad un’organizzazione in una forma dinamica[32].

Se negli ambienti rurali a generare movimento è l’accesso alla terra, in un contesto urbano l’analisi della realtà ha portato a considerare l’accesso gratuito ai saperi come la leva che possa aiutare ad entrare in dialogo con il quartiere e permettere di iniziare un cammino comune. Per questo la Escola Nacional Paulo Freire sta offrendo alla popolazione formazione gratuita tecnica ed intellettuale, come corsi di lingua o preparazione ai test ingresso delle università brasiliane, sempre in un percorso di mutua coscientizzazione. La trasmissione del sapere dunque non è “depositaria di contenuti, ma problematizzante per gli uomini nei loro rapporti col mondo”[33]; mira a costruire insieme al quartiere nuovi percorsi di lotta e forme critiche e decoloniali del sapere.

Riflessioni conclusive

Probabilmente la cosa che più unisce le esperienze che abbiamo incrociato a San Paolo è non tanto un metodo specifico quanto un’incessante ricerca. In questo, abbiamo vissuto il non-metodo pedagogico di Paulo Freire. Il rifiuto di un metodo specifico in cambio di un approccio ai problemi sociali. Come dice Reggio; “se intendiamo però ‘metodo’ nel senso più autentico del termine, che rimanda alla ricerca di una ‘strada’, di una strategia per generare apprendimenti e cambiamenti personali e collettivi, allora risulta importante chiedersi se esista, ed eventualmente in cosa consista, il metodo pedagogico elaborato da Freire e sperimentato in diversi contesti sociali e culturali”[34].

Nelle esperienze di resistenza quotidiana a San Paolo abbiamo incontrato soprattutto questo. Persone, più che organizzazioni, che, in quanto testimoni dirette o indirette di un’epoca di democratizzazione dell’educazione e della società, ne raccolgono l’eredità nel non smettere di cercare una strada nemmeno nei periodi che sembrano più oscuri.

Nel fare ciò, queste persone contribuiscono a mantenere vitali le loro organizzazioni, a non far perdere le ragioni della loro esistenza nella gabbia della burocratizzazione. È soprattutto l’attitudine al dialogo, che “è esigenza esistenziale”[35], che permette questa vitalità.

Lavoro e ricerca accademica, teoria e pratica, azione e riflessione, istituzioni pubbliche e movimenti, centro e periferie rimangono in una tensione dialogica proprio grazie alle persone che, in virtù dell’eredità freiriana, sanno rimanere in dialogo. Permettendo a realtà complesse come FLACSO o MST di essere delle organizzazioni senza per forza diventare burocrazie autoreferenziali. Aspetto che ci ha particolarmente colpito, da europei che spesso devono operare delle scissioni identitarie anche interiori, causa l’impossibilità di conciliare lavoro educativo, propensione alla ricerca e militanza politica.

Ma qual è il prodotto fondamentale di questa vitalità, di questa capacità di sfuggire all’autoreferenzialità? Da quello che abbiamo potuto capire, è la capacità di rimanere profondamente agganciati alla realtà, di non perdere di vista la prospettiva originaria, la spinta che ha dato origine al cammino: la costruzione di un percorso alternativo in cui gli oppressi siano realmente protagonisti della liberazione collettiva.

Il MST non aveva esigenze organizzative che lo portassero a sostenere la nascita della Escola Nacional Paulo Freire. È stata la sua lettura del mondo che gli ha permesso di considerare questa come un’esigenza primaria. L’IPF non trae vantaggio dalla sua collaborazione con le scuole di periferia, in un momento in cui la sua stessa sopravvivenza è messa in discussione. È il radicamento con le condizioni reali delle periferie che gli rende irrinunciabile questa relazione.

Questo è vero anche per quanto riguarda la nuova, recentissima emergenza che San Paolo ed il Brasile stanno affrontando. Infatti, mentre scriviamo, nella primavera 2020, l’epidemia di COVID_19 sta colpendo con estrema violenza il Brasile e le sue contraddizioni di paese iperconnesso con il capitalismo globale ed allo stesso tempo pieno di quartieri poveri, dove distanziarsi e lavarsi le mani con acqua calda e sapone non sono direttive, ma utopie. Un paese di cui la città di San Paolo è l’esempio di diseguaglianza più estremizzato, ed è infatti colpita dall’epidemia con la massima violenza. Le realtà da noi conosciute si sono ri-organizzate, e dall’accesso ai saperi sono passate alle azioni di solidarietà e coscientizzazione rispetto alla propria salute. Ad esempio, la Escola Nacional Paulo Freire ha lanciato la campagna “Amigo Solidario”, con la quale, tramite una raccolta fondi, sta sostenendo alimentarmente 125 famiglie del quartiere di Ipiranga, e iniziando un percorso di formazione di “agenti di salute”, figure del quartiere impegnate nel favorire processi di coscientizzazione rispetto alla tutela della salute[36]. Un’ulteriore dimostrazione di vitalità e capacità di dialogo con il mondo, in un’incessante costruzione di prospettive di speranza.

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Corrado Consoli: nato a Genova il 19/11/1986, si iscrive all’Università a Trento dove studia Sociologia prima e Studi Internazionali, specializzazione economia dello sviluppo, poi, prendendo nel frattempo parte alle lotte studentesche del periodo 2008-2011. Studia le politiche contro la povertà, e sempre di più si convince dell’inefficacia degli approcci economicisti e riduzionisti a questo tema, trovando risposte più convincenti nel lavoro di educatore, per il quale si qualifica nel 2020, e nelle attività della Rete Italiana Freire-Boal, che costituirà la spinta per il viaggio alla base di questo articolo. Lavora attualmente con i richiedenti asilo per il Centro Astalli Trento. 

Noemi Filosi: nata a Trento il 10/10/1992, si trasferisce a Bologna per conseguire la laurea triennale in Educatore sociale e culturale. Nel percorso di studi conosce e approfondisce il pedagogista Paulo Freire scrivendo la tesi “La pedagogia freiriana nel campo sinti di Trento”. Frequenta il master di primo livello di “Competenze interculturali. Formazione per l’integrazione sociale” dell’università Cattolica di Milano e allo stesso tempo inizia a lavorare nel sistema d’accoglienza richiedenti asilo e rifugiati in Trentino. Da luglio 2016 a febbraio 2020 ha ricoperto diversi ruoli e ha lavorato in diversi progetti sempre all’interno del sistema d’accoglienza.

Erica Raimondi: dopo la laurea triennale in Sociologia a Milano-Bicocca, consegue la laurea magistrale e il dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale all’Università di Trento, con una tesi sulle politiche pubbliche di contrasto all’abbandono scolastico in Italia. Si appassiona allo sviluppo di comunità, alla facilitazione dei gruppi e al Teatro dell’Oppresso, da cui la partecipazione alla rete Freire-Boal. Lavora per tre anni con persone richiedenti asilo, promuovendo forme di coabitazione e relazioni con il vicinato e il quartiere, e per due anni in un progetto in un quartiere periferico di Trento, volto a favorire relazioni, co-progettazione e co-gestione di iniziative proposte dagli abitanti. Attualmente sta avviando un ecovillaggio in Lunigiana.

 

[1] A. Quijano, Colonialidad del poder, eurocentrismo y America Latina, in Aa Vv, La colonialidad del saber: eurocentrismo y ciêcias sociales perspectivas latino-americanas, a cura di E. Lander, CLACSO, Buenos Aires 2000.

[2] R. Altin, G. Sanò, Richiedenti Asilo e sapere Antropologico, in “Antropologia Pubblica”, n. 1, 2017.

[3] P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2011, p. 122.

[4] P. Reggio, Reinventare Freire, Francoangeli, Milano 2017, p. 31.

[5] D. Cioccari, S. Persichetti, Armas, ódio, medo e espetáculo em Jair Bolsonaro, in “Revista Alterjor”, n. 2, 2018, pp. 201-214.

[6] Url: https://www.paulofreire.org/o-instituto-paulo-freire.

[7] Url: https://www.paulofreire.org/o-que-fazemos, (traduzione degli autori).

[8] M. Gadotti, Do Mova SP ao Mova Brasil, in Aa.Vv., MOVA-Brasil, 10 anos, a cura di M. Gadotti, Instituto Paulo Freire, São Paulo 2013, p. 27.

[9] P. Vittoria, Paulo Freire nell’alfabeto del dialogo, in “il Manifesto”, 07 maggio 2020, url: https://ilmanifesto.it/paulo-freire-nellalfabeto-del-dialogo/.

[10] M. Gadotti, Leggendo Paulo Freire, sua vita e opera, Società Editrice Internazionale, Torino 1995, p. 71.

[11] P. Freire, Pedagogia della speranza, Gruppo Abele, Torino 2008, p. 27.

[12] A. Antunes, Leitura do mundo, FE-USP, São Paulo 2002, p. 8 (traduzione degli autori).

[13] Ivi, p. 9 (traduzione degli autori).

[14] P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 77.

[15] Url: shorturl.at/hzDFR.

[16] FLACSO, Relatório parcial do Projeto Sampa Cine Tec-Audiovisual, Cinema e Tecnologia, 2017, p. 7.

[17] Ivi, p. 103.

[18] P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 122.

[19] P. Reggio, Reinventare Freire, cit., p. 52.

[20] Ivi, p. 30.

[21]  M. Muraca, Educazione e movimenti sociali. Un’etnografia collaborativa con il Movimento di Donne Contadine a Santa Catarina (Brasile), Mimesis, Milano 2019, p. 24.

[22] Zibechi R., Introduzione: movimenti sociali latinoamericani, in Aa. Vv., America Latina. L’avanzata de los de abajo, a cura di A. Zanchetta, Massari-Fondazione Neno Zanchetta, Lucca 2008.

[23] L. Fanelli, La scelta della terra, studio di un insediamento rurale del Movimento Sem Terra in Brasile, Silvio Zamorani, Torino, 2002.

[24] D. Elias, Globalizacão, Agricultura e Urbanizacão no Brasil, in “ACTA Geográfica”, n. 14, 2013. p.13-32.

[25] Url: shorturl.at/luR08.

[26] Url: shorturl.at/jpsC5.

[27] S. Miclet, L’eco del “Movimento dos trabalhadores rurais sem Terra” nel panorama italiano, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, 2015.

[28] N. Rojas de Carvalho, O. Alves dos Santos, Bolsonaro and the Inequalities of Geographical Development in Brasil, in “Journal of Latin American Geography”, n. 1, 2019, p. 200.

[29] M. Muraca, Educazione e movimenti sociali. Un’etnografia collaborativa con il Movimento di Donne Contadine a Santa Catarina (Brasile), cit., p. 27.

[30] P. Reggio, Reinventare Freire,cit., p. 57.

[31] Ibidem.

[32] P. Mayo, L. English, Adult Education and social movement. Perspectives from Freire and Beyond, in “Educazione Democratica”, n. 3, 2012.

[33] P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 67.

[34] P. Reggio, Reinventare Freire, cit., p. 41.

[35] P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 79.

[36] Escola Nacional Paulo Freire, volantino pdf della “Campanha Amigo Solidario”, 2020.