Pratica formativa e pratica di ricerca nel lavoro educativo e sociale: riflessioni pedagogiche a partire dall’esperienza di Keats Aps | Training and research practices in educational and social work: pedagogical reflections from Keats’s experience

DOI: 10.5281/zenodo.8154419 | PDF | Educazione Aperta 13/2023

In this paper, starting from the experience of Keats Aps, the authors question and reflect on the existence of a structural relationship between research and training, an existence that can be visible in the formative effects that the practice of research produces on the researchers themselves. This structural relationship, then, can be said to be effective if and when the professionals enact a gaze that continuously interrogates the practices, context and effects generated by the experience. From this perspective, the research, understood as practice, is configured as a cognitive tool if it has a number of conditions, such as being systematic, explicit, intentional and logical. This within the reflection presented here leads to the assertion that, doing pedagogical research “in” and “about” the social and educational context means continuously analyzing and reflecting on it. Not only that, pedagogical and social research takes on the meaning of an authentic “hand-to-hand with factuality” (Demetrio, 2020, p. XVII), since it is expressed in a process within which the researcher stands in an original and intimate contact with real problems. Thus, the structural nexus between research and education reflects, therefore, a certain way of understanding the relationship between theory and practice in the educational, training, social and pedagogical fields, that is, the existence of a circular relationship between theory and practice, since it is the educational and social practices themselves that provide the data and content that constitute the problems of research (Dewey, 1929).

Keywords: Formative practice, research practice, social worker, educational professional.


Introduzione

L’esperienza del gruppo di ricerca Keats - Kantiere Educativo per Azioni Trasformative nasce nel dicembre del 2019 e affonda le sue radici nel corso di Metodologia della Ricerca Pedagogica dell’Università di Milano-Bicocca nel Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”. Il corso ha contribuito ad accendere quello che il filosofo Jean-Luc Nancy definisce “un tremito sul bordo dell’essere’’ (Nancy, 1992, P. 128): un movimento dilagante, che attraversa l’essere studentesse per uscire fuori dal dispositivo formativo universitario e andare sul campo a indagare, attraverso pratiche di progettazione di interventi e servizi educativi, il rapporto tra storia di formazione e modo di fare ed essere professionista educativo.

Nella primavera del 2022 Keats diviene Associazione di Promozione Sociale. Questo passaggio testimonia ancora di più l’idea della dilagazione dal mondo della formazione al mondo dell’esercizio della professione alla quale ci si è formati. È così che una pratica formativa incentrata sulla competenza del domandare si rivela una pratica di “contagio’’ (Massa, 2001) della realtà circostante. I processi legati all’apprendere a fare domande e all’attivarsi per interrogare i dispositivi sociali ed educativi, di appartenenza e non, hanno permesso alle pedagogiste (ex studentesse), autrici del presente contributo, di assumere la postura del ricercatore quale anello di congiunzione tra formazione universitaria e pratiche di riflessione, di indagine e di lavoro professionale sul campo.

Nel presente contributo, a partire dall’esperienza stessa di nascita e costituzione del gruppo Keats, sarà possibile interrogarsi e riflettere sull’esistenza di un rapporto strutturale tra il fare ricerca e il fare formazione.

1. Il nesso strutturale tra ricerca e formazione

Esiste ben più che una analogia; esiste un vero e proprio rapporto strutturale tra fare ricerca e fare formazione, tra processi e pratiche di ricerca e processi e pratiche formative.

Innanzitutto perché la pratica di ricerca produce, inevitabilmente, una serie di effetti formativi sui ricercatori stessi. Pertanto, mettere a fuoco e stare in un processo di ricerca significa “educarsi come professionisti’’ (Demetrio, 2020, p. XVI) e non invecchiare professionalmente, non arenarsi nel “si è sempre fatto così” che tanto dilaga e attanaglia i servizi sociali e i servizi educativi.

È in questo senso che al professionista socio-educativo accade di “fare ricerca sulla formazione facendo formazione’’ (ibid.) ed è in questo modo che la pratica di ricerca diviene un antidoto alla fatica e alla routinarietà del lavoro educativo e sociale.

Tale possibilità si esprime, tuttavia, solo se il professionista socio-educativo, o il servizio in cui egli lavora, fanno della pratica socio-educativa il campo privilegiato su cui far cadere lo sguardo di ricerca, che è, anzitutto, uno sguardo interrogativo, in controtendenza all’interpretazione immediata, alla lettura facile e intuitiva  uno sguardo che interroga continuamente ciò che il professionista fa, ciò che lo circonda e ciò che egli intende ottenere come effetto della sua azione in quella situazione.

Da qui una domanda sorge spontanea: a partire dalla lettura della pratica educativa come campo di ricerca, in che modo deve posizionarsi l’operatore socio-educativo rispetto al campo di ricerca e al campo della propria pratica professionale? Certamente nè al di sopra, nè al di fuori della realtà sistemica in cui opera. Dunque, l’operatore socio-educativo deve assumere una posizione di continuità rispetto al sistema in cui opera attivamente e attorialmente; egli parte dall’esperienza, istituendola e attraversandola, e torna poi all’esperienza, rendendola oggetto di indagine scientifica, oggetto di una ricerca attiva, che conduce a riflettere[1] e a comprendere le pratiche socio-educative. In questo modo, l’operatore socio-educativo diviene espressione di una euristica pedagogica e sociale, che gli consente costantemente di (ri)vedere[2] e (ri)generare la cultura educativa e il sapere pedagogico di cui egli stesso è o diverrà portatore. La medesima postura consente di restituire qualità all’esperienza di ricerca.

In secondo luogo esiste un rapporto strutturale tra fare ricerca e fare formazione, perché vi è una profonda simmetria tra l’assetto strutturale del fare ricerca e l’assetto strutturale del fare formazione. Entrambi i processi si dispiegano all’interno di un “dispositivo’’ (Massa, 1986; 1987) specifico, che intreccia e struttura materialmente molteplici dimensioni (spaziale, temporale, corporea, simbolica, finzionale), determinando le relative pratiche (di ricerca e di formazione) nel loro accadere specifico.

2. La ricerca pedagogica e sociale: quattro nodi di significato

Affermando l’esistenza di un nesso strutturale tra pratica di ricerca e pratica formativa, la ricerca pedagogica e sociale assume, innanzitutto, il significato di strumento di conoscenza fondamentale per svolgere l’intervento socio-educativo, poiché consente di “gettare nuova luce sui problemi’’ (Benvenuto, 2015, p. 11), di comprendere in modo analitico i fenomeni sociali ed educativi e di mettere alla prova la propria cultura educativa per poi arricchire i diversi campi del sapere di nuove o rinnovate evidenze empiriche.

Tuttavia, la ricerca si configura come strumento conoscitivo se essa è sistematica, ovvero “organizzata e che segue precisi percorsi metodologici e definite strategie di raccolta dati per migliorare la comprensione delle questioni indagate’’ (ibid.);  esplicita, perché “deve rendere manifeste e comunicabili la sua strutturazione, le scelte teoriche che orientano le domande o ipotesi, le strategie che regolano le modalità di indagine e le strumentazioni che permettono di raccogliere dati sulle tematiche di ricerca’’ (ibid.); intenzionale, ovvero che “nasce da problemi reali e autentici e punta proprio alla comprensione di quei problemi, alla sperimentazione di pratiche, a giustificare innovazioni o trasformazioni, a sviluppare indagini per meglio intervenire nei differenti campi del sapere’’ (ivi, p. 12) e logica, ovvero che “adotta una forma argomentativa tale da poter giustificare le scelte condotte e le modalità di analisi e di interpretazione adottate” (ibid.). La pratica di ricerca, quale espressione di un processo di conoscenza e di arricchimento del sapere, crea, attorno all’operatore socio-educativo, una comunità scientifica alle prese con la possibilità di capire meglio alcuni campi del sapere, di migliorare gli interventi in alcuni contesti o servizi e di riflettere sulla propria comune professione e professionalità.

È così dunque che la ricerca pedagogica e sociale assume il significato e diviene, in secondo luogo, piena espressione di uno stile di pensiero operativo e di uno stile di pratica professionale per capire, interpretare e intervenire sui fatti educativi e sociali. Fare ricerca pedagogica “nel” e “sul” contesto sociale ed educativo significa analizzare e riflettere continuamente su di esso. Fare questo richiede tecnica ed esperienza, il che non significa che la ricerca pedagogica e sociale richiede una metodologia improvvisata o, al contrario, rubata dai manuali e poi applicata, significa bensì che il processo di ricerca ha inizio quando prende avvio una pratica di trasformazione di una domanda in un problema, la cui soluzione viene cercata attraverso il dispiegamento della pratica di ricerca stessa. Solo così quest’ultima diviene Erfahrung, ovvero esperienza che attraversa e cambia il ricercatore; solo così il processo di ricerca si dà come  un processo di formazione di sé.

In terzo luogo la ricerca pedagogica e sociale assume il significato di un autentico “corpo a corpo con la fattualità’’ (Demetrio, 2020, p. XVII), dal momento che si esprime in un processo all’interno del quale il ricercatore sta in un contatto originario e intimo con i problemi concreti. La ricerca pedagogica e sociale diviene, dunque, euristica esperienziale, dove l’agire educativo e sociale è un “fatto umano” avvicinabile con criteri interpretativi che arricchiscono il sapere, creandolo in situazione.

Infine, la ricerca pedagogica e sociale assume il significato di un processo di comprensione complessa dei fenomeni. Proprio attraverso la ricerca pedagogica e sociale la professione dell’educatore e dell’operatore sociale incontra la possibilità concreta di esprimere la logica della comprensione, anziché la logica della spiegazione dei fenomeni, creando un sapere scientifico locale, “micropedagogico’’ (Demetrio, 2020). Quest’ultimo permette di “risolvere problemi teorici che si celano in questioni pratiche, di indagare ciò che si cela sotto l’apparenza dei fenomeni, di identificare nessi e strutture regolatrici latenti dell’agire socio-educativo’’ (ivi, p. XVII), per giungere a “fare luce sui fatti immediatamente visibili, rendendoli ancora più visibili e portare alla luce (disvelare) i fatti non immediatamente visibili o percepibili (latenti o sottostanti il mondo delle nostre immediate percezioni quotidiane)’’ (ivi, p. 78).

3. Il rapporto strutturale tra formazione universitaria del professionista educativo o dell’operatore sociale e competenze di ricerca

Risulta fondamentale, a questo punto, domandarsi a quali competenze il dispositivo universitario debba formare il professionista educativo e il social worker.

Innanzitutto, l’Università deve formare a un atteggiamento di ricerca, dal momento che quest’ultima risulta una dimensione imprescindibile nei processi educativi e sociali e per le professioni educative e sociali, che quotidianamente si trovano a porre domande, a riflettere sulle azioni compiute e a mettere alla prova suggerimenti, ipotesi o teorie.

Inoltre, il dispositivo universitario deve formare a una competenza euristica, che consiste nell’interrogarsi più di quanto richiesto, nel soffermarsi su quanto è più o meno rilevante, nel fare autocritica.

Infine, l’Università deve formare i futuri educatori e operatori sociali a “essere desti’’ (Pastori, 2017), ovvero a esprimere il pensiero riflessivo e l’atteggiamento di costante ricerca, dal momento che entrambi risultano essere il fondamento etico della professionalità dell’educatore e del social worker.

Il professionista educativo e l’operatore sociale incontrano la pratica di ricerca sia nei termini di una postura (per cui possiamo parlare di atteggiamento di ricerca), sia nei termini di un prezioso e necessario strumento professionale.

La pratica di ricerca oscilla, così, tra l’essere un “mestiere’’ (Becker, 2007), poiché richiede competenze di elevato grado di professionalità, e l’essere un percorso di “apprendistato’’ (Demetrio, 2020), dal momento che si costruisce e si perfeziona sul campo.

In questa prospettiva, è necessario anche considerare lo status quo delle professioni educative, che, più di altre, rappresentano e incarnano uno stato di incertezza e fragilità che attraversa tutte le fasi dell’esperienza professionale; la figura dell’educatore professionale e del social worker possono essere inquadrate e definite come caratterizzate da “una debolezza essenziale e salutare’’, considerabile anche come un essenziale punto di forza “se interpretata come una costante apertura di possibilità, una ricerca ininterrotta sul senso dell’agire educativo’’ (Tramma, 2018, p. 12).

4. Il rapporto strutturale tra teoria e pratica

Il nesso strutturale tra ricerca e formazione è significativo sul piano metodologico, poiché genera opzioni pratiche e possibilità di ricerca sul campo e poiché permette di osservare la struttura dell’esperienza della formazione (Tarsia, 2019).

Per quanto concerne il ruolo della ricerca nella formazione e il ruolo della ricerca nello svolgimento della professione educativa e sociale, potremmo rintracciare l’esistenza di una triade, data da: teoria (conoscenza di base dei fenomeni), ricerca (metodologia dell’indagine) e azione sul campo (Tarsia, 2019, p. 38). Questa triade trova la propria ricomposizione esattamente nell’habitus scientifico, secondo il quale esplorare, conoscere e attribuire significati ai fenomeni educativi e sociali parte da una postura di indagine e determina la capacità di agire consapevolmente, ovvero la capacità di posizionarsi e comprendere consapevolmente la propria specificità. A partire proprio dall’incontro con il sapere teorico, gioca un ruolo cruciale il percorso formativo del professionista educativo e del social worker, dal momento che getta le basi per ogni intervento sul campo. Una formazione scevra di dialogo con le pratiche educative e sociali e priva di un posizionamento di ricerca potrebbe essere infruttuosa e, soprattutto, deleteria sia per l’operatore educativo o sociale sia per l’educanda o l’educando.

Il nesso strutturale tra ricerca e formazione riflette, dunque, un determinato modo di intendere il rapporto tra teoria e pratica in campo educativo, formativo, sociale e pedagogico, ovvero l’esistenza di un rapporto di circolarità tra teoria e pratica, dal momento che sono le pratiche educative e sociali stesse a fornire i dati e i contenuti che costituiscono i problemi della ricerca (Dewey, 1929). La pratica si configura, dunque, come l’inizio e la fine del sapere pedagogico e del sapere sociale: definisce i problemi e poi controlla, verifica, modifica e sviluppa le conclusioni delle ricerche condotte dalle scienze dell’educazione e sociali. In questo senso, queste ultime non sono da intendere come “scienze a tavolino’’ (ivi, p. 19), bensì come scienze che esprimono la connessione vitale tra pratica sul campo e attività di teorizzazione scientifica. In altri termini la circolarità tra teoria e pratica va a operare una profonda integrazione della logica top-down (dalla teoria all’esperienza) con la logica bottom-up (dall’esperienza alla teoria).

Il processo di elaborazione di conoscenze sul campo di esperienza (ovvero, assunzione di una postura di ricerca, osservazione empirica, formulazione delle domande e successive comprensioni) esprime pienamente il suo rapporto stretto con l’impianto teorico sviluppatosi durante il percorso formativo nelle menti di chi opera sul campo. Così, assumendo su di sè l’intreccio tra teoria e pratica e l’intreccio tra processo formativo e processo di ricerca, il professionista socio-educativo si esprime come “professionista riflessivo’’ (Schön, 1993), che rende l’esperienza il punto d’origine del proprio pensiero riflessivo, riuscendo ad agire in modo deliberato e intenzionale, piuttosto che in modo routinario. Nel professionista socio-educativo riflessivo trovano piena espressione un pensiero meta-pratico, ovvero un pensiero strutturalmente connesso all’azione, un atteggiamento di interrogazione sulla propria o altrui azione educativa e sociale e un pensiero intenzionale e progettuale.

5. Esperienze e ricerca sul campo

Le riflessioni fin qui condotte portano a leggere la pratica di ricerca come un attivatore di processi di cambiamento, poiché la ricerca si configura come una ricostruzione analitica dei fenomeni dell’esperienza, come un’apertura interpretativa (ovvero un processo interpretativo mai concluso) e come un’autentica espressione di disponibilità a praticare la riflessione su di sé.

Risulta, inoltre, interessante notare come il cambiamento e la trasformazione siano non solo gli esiti di un processo di ricerca, ma, al contempo, gli oggetti stessi della pratica educativa e sociale.

Il gruppo Keats esprime esattamente gli effetti di un processo formativo incentrato sull’assunzione di una postura di ricerca, in un’ottica di cambiamento e trasformazione delle pratiche socio-educative.

A titolo esemplificativo, la prima esperienza sul campo di Keats si è sviluppata proprio a partire da un percorso di ricerca qualitativa avente per oggetto il rapporto tra creatività pedagogica e pratiche formative. Ciò assume particolare rilevanza poichè proprio in questo passaggio appare evidente il rapporto circolare tra teoria e pratica: a partire dallo studio approfondito della teoria è stato possibile giungere a una progettazione di un dispositivo di pratiche formative da mettere in campo come professioniste.  

Nello specifico, è possibile indicare tre esperienze che hanno dato forma allo specifico posizionamento epistemologico del gruppo pedagogico Keats e che hanno permesso, in particolare, la maturazione di una competenza professionale che riguarda profondamente il fare ricerca.

La prima delle tre esperienze oggetto della nostra riflessione è TEDDY per il quartiere, progetto educativo ideato e svolto nel quartiere di San Fruttuoso a Monza dal 22 giugno al 17 luglio 2020. Il percorso, configuratosi come un intervento situato e locale, condotto nell’estate 2020, all’indomani dell’apertura post-lockdown, si è caratterizzato per aver permesso l’esplorazione del rapporto tra pratica creativa e pratica formativa territoriale, partendo dall’ipotesi che affinché si dia un atto creativo formativo occorre intercettare una necessità di partenza. In questo senso, il progetto educativo è stato ideato a partire dall’ascolto dei bisogni del territorio rilevati dalle pedagogiste di Keats. Alla luce di questo, TEDDY per il quartiere ha permesso, nello specifico, l’ulteriore sviluppo della postura del domandare, intesa come competenza di ricerca.

Proseguendo in questa ottica, il secondo momento di ricerca-formazione che risulta necessario introdurre è un intervento condotto dal gruppo Keats sempre nel periodo pandemico (da aprile 2020 al settembre 2021), che ha preso la forma di un processo di ricerca-azione, sulla pratica di didattica a distanza, svolto con gli studenti, le studentesse e alcuni docenti di una classe seconda di un Liceo Scientifico Statale di Matera. In questa prospettiva, le pedagogiste di Keats - che al tempo ricoprivano ancora il duplice ruolo di studentesse e ricercatrici - hanno avuto la possibilità di maturare nuove competenze di ricerca, questa volta relative al coinvolgimento attivo dei soggetti del campo formativo come co-ricercatori; relative al ruolo del ricercatore inteso come policy maker e, soprattutto, relative al processo di attribuzione di significato ai fenomeni sociali ed educativi.

Infine, il terzo momento di ricerca-formazione del gruppo Keats è rintracciabile in un intervento di ricerca, formazione e consulenza clinica progettato per un gruppo di professionisti educativi e operatori sociali coinvolti in alcune proposte estive della città di Monza nell’estate 2021. Quest’ultima esperienza ha offerto alle pedagogiste di Keats di maturare un’ulteriore competenza di ricerca, esemplificabile nell’interrogazione degli effetti delle pratiche educative e sociali.

Concludendo, l’esperienza di Keats pare configurarsi come un rilevante oggetto di riflessione, nel suo porsi negli spazi interstiziali che attraversano il complesso rapporto tra teorica e pratica, tra ricerca e formazione, trovando nella cifra specifica dell’oltrepassamento (da dentro l’università a fuori l’università, dalla teoria alla pratica, dalla formazione alla ricerca) il suo carattere distintivo. Questa operazione di “oltrepassamento”, di “sconfinamento” si rivela innovativa non solo per il fatto che apre e trasforma la struttura, la spazialità e la temporalità del dispositivo formativo universitario, ma soprattutto per il fatto che esce nel mondo della vita e nel mondo del lavoro educativo e va ad affermare quanto fare educazione sia costitutivamente fare ricerca e nutrire un pensiero critico-riflessivo (al quale si è stati formati in ambito accademico) proprio stando all’interno di uno scenario contemporaneo, in cui nei servizi educativi difficilmente vengono offerti spazi e tempi per compiere queste azioni. Soprattutto negli ultimi anni all’interno dei servizi educativi gli operatori si trovano immersi (o sommersi) in uno spazio di lavoro ingombro di urgenze, emergenze, abitudini rodate, rapporto minimo tra ore di lavoro diretto e ore di lavoro indiretto, retribuzione non dignitosa etc.; uno spazio di lavoro in cui spesso non viene valorizzato il tempo dedicato alle équipe o alle supervisioni che, invece, sono fondamentali per interrogare, (ri)progettare, valutare, documentare, rileggere e (ri)pensare le pratiche educative agite quotidianamente e, dunque, per fare ricerca sull’esperienza educativa generata in quello specifico servizio educativo.

Uscire dal mondo della formazione universitaria ed esercitare sulla scena educativa – e, dunque, in uno scenario lavorativo come quello descritto sopra – uno sguardo pedagogico che vitalizza e dà corpo al nesso strutturale tra fare educazione e fare ricerca permette di illuminare le potenzialità dell’esperienza educativa; di osservare l’ovvio e l’ottuso che normalmente si dà nei campi di esperienza educativa; di leggere gli eventi, le scelte strategiche e metodologiche, le idee pedagogiche che sorreggono gli interventi educativi; di assumere un “atteggiamento di interrogazione’’ (Pastori, 2017) sulla propria e altrui attività educativa, sulla propria e altrui intenzionalità pedagogica, sull’efficacia della propria e altrui azione formativa e sulla significatività delle relazioni e dell’esperienza che si offrono nell’esperienza educativa allestita. Esercitare questo tipo di sguardo pedagogico consente di elevarsi dalla realtà fattuale per interrogarla e per maturare un pensiero educativo intenzionale. Esercitare questo tipo di sguardo pedagogico restituisce valore e profondità all’esperienza formativa attraversata in ambito universitario; restituisce vita al pensiero pedagogico incontrato; permette di “dire” l’educazione narrandone le pratiche, i dispositivi apprestati, la genealogia degli effetti generati e, così facendo, permette di superare la “fine della pedagogia’’ (Massa, 1987). Ma  soprattutto l’esercizio di un simile sguardo pedagogico restituisce il senso della propria pratica professionale, il senso del fare educazione.

Riferimenti bibliografici

Benvenuto G., Stili e metodi della ricerca educativa, Carocci, Roma 2015.

Cappa F. (a cura di), Intenzionalità e progetto. Tra filosofia e pedagogia, Franco Angeli, Milano  2007.

Demetrio D., Micropedagogia: la ricerca qualitativa in educazione,  Raffaello Cortina Editore, Milano 2020.

Dewey J., Le fonti di una scienza dell’educazione, trad. it,  Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2016, ed.orig. 1929.

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Massa R., Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli, Milano 1987.

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Nancy J.-L., La communauté désoeuvrée, Paris, Christian Bourgois Éditeur; trad. ingl. The Inoperative Community,  University of Minnesota Press, Minneapolis & London 1991.

Pastori G., In ricerca. Prospettive e strumenti per educatori e insegnanti, Edizioni Junior, Bergamo 2017.

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Tarsia T., Sociologia e servizio sociale: dalla teoria alla prassi, Carocci, Roma 2019.

Tramma, S., L’educatore imperfetto, Senso e complessità del lavoro educativo,  Carocci, Roma 2018.

Zambrano M., Note di un metodo, Filema, Napoli 2003.

Note

[1]  Intendiamo qui proporre il termine “riflessione” nell’accezione di John Dewey, che inquadra il pensiero riflessivo come processo di presa in carico della necessità di capire meglio o di intervenire sulle pratiche che avvengono nel campo (socio-educativo e non); come processo avente la funzione di ‘’trasformare una situazione in cui si è fatta un’esperienza di oscurità, un dubbio, un conflitto, o un disturbo di qualche sorta, in una situazione chiara, coerente, risolta e armoniosa’’ (Dewey, 1933, p. 172).

[2]  Come afferma Maria Zambrano, è possibile (ri)vedere un’esperienza educativa solo “se il ritornare [sull’esperienza] è realmente un tornare e non la ripetizione dell’andare, allora è lì che si vede’’ (Zambrano, 2003, p. 88).

Le autrici

KEATS – Kantiere Educativo per Azioni Trasformative – è un cantiere di pratiche educative nato nel 2019 all’interno dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, e divenuto dal 2022 Associazione di Promozione Sociale senza scopo di lucro. KEATS è un gruppo di professionistə dell’educazione (pedagogistə, educatorə, formatorə e ricercatorə), interessatə a comprendere e a sperimentare in modi innovativi gli intrecci fra pratiche formative, processi sociali e linguaggi creativi, attraverso l’attivazione di veri e propri cantieri esperienziali. Le pedagogiste, educatrici professionali e autrici del presente contributo sono: Valentina Costa, Elena Mauri, Ida Parrotta, Sara Riva. KEATS Aps ha sede a Monza, ma opera in tutto il territorio nazionale.