Problematizzare la pedagogia interculturale: il contributo di “Pedagogia postcoloniale” di Giuseppe Burgio | Problematising intercultural pedagogy: the contribution of the "Postcolonial Pedagogy" of Giuseppe Burgio 

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PDF: DOI 10.5281/zenodo.7574079

Come dichiara il titolo, la scommessa che attraversa Pedagogia postcoloniale. Prospettive radicali per l’intercultura di Giuseppe Burgio (FrancoAngeli, 2022, p. 126) è offrire un contributo critico alla pedagogia interculturale italiana alla luce della prospettiva postcoloniale, mettendo a fuoco alcune dense domande, che la interrogano sul piano dello statuto teorico e della prassi, e che vengono esplicitate nell’ultima parte del libro.

È utile precisare, innanzitutto, la duplice accezione con cui il termine “postcoloniale” viene impiegato dall’autore. Com’è noto, infatti, il prefisso “post” è stato interpretato in modi differenti e ha suscitato non poche critiche, da parte di chi ad esempio ha messo in discussione la possibilità di identificare una cesura tra un momento coloniale e un momento non coloniale, e quindi la presunta scomparsa dei modelli e delle orme coloniali (Walsh, 2013).

Nel libro, al contrario, il concetto è finalizzato a sottolineare la persistenza dei meccanismi e degli effetti del colonialismo nel presente e su scala globale: “la nostra è una realtà in cui, contemporaneamente, l’esperienza coloniale appare consegnata al passato e, proprio per le modalità con cui il suo superamento si è realizzato (o meglio non si è realizzato), si istalla occultamente al centro dell’esperienza sociale contemporanea” (Burgio, 2022, p. 34).

La categoria “postcoloniale”, inoltre, è adottata nel libro anche con un secondo significato, come chiave di lettura per interpretare le contemporanee migrazioni transnazionali. “La migrazione è cioè oggi (come lo era il colonialismo moderno) un fenomeno interno alle dinamiche economiche locali e planetarie, strettamente connesso con quell’accumulazione ‘per espropriazione’ che si affianca da sempre – secondo la critica portata avanti anche dai Subaltern Studies (Guha, 2002) – a quella ‘per sfruttamento’ del lavoro salariato. Al contempo, però, le migrazioni sono effetto di un fenomeno nuovo – la trasformazione del mercato del lavoro” (ivi, p. 67). Secondo l’autore, dunque, la configurazione assunta dalle migrazioni contemporanee rende più sfuggenti le contrapposizioni e più complesso il quadro delle oppressioni, confermando la validità della categoria di “intersezionalità”: “siamo tutti (ex colonizzatori ed ex colonizzati) coinvolti in dinamiche di sfruttamento e discriminazione intersezionale che non rispettano più la contrapposizione tradizionale tra metropoli e colonie, ma che si riproducono all’interno del territorio della metropoli europea” (ivi, p. 86).

In questa ottica, un paese come l’Italia può essere analizzato in rapporto a quattro dimensioni:

  • la partecipazione all’impresa coloniale, che si configura come elemento costitutivo non solo dell’identità ma anche del benessere europei (Fanon, 1979). L’autore, infatti, giustamente osserva: “lo sfruttamento delle altre genti (nel loro o nel nostro territorio) e della loro terra, delle loro ricchezze, della loro forza-lavoro, delle loro conoscenze etc., non è solo qualcosa che abbiamo fatto (e che ancora facciamo) ma qualcosa che siamo stati. Il colonialismo costituisce la nostra storia e, quindi, anche la nostra “identità”, ciò che ancora siamo dal punto di vista culturale” (Burgio, 2022, p. 32). Si tratta di un aspetto che, se è soggetto ovunque a una generale tendenza alla cancellazione, nel nostro paese è stato e continua a essere rimosso con particolare efficacia, anche per le caratteristiche che ha assunto il processo di decolonizzazione nelle ex colonie italiane.
  • La riproduzione delle dinamiche coloniali nel presente soprattutto nelle relazioni con i migranti, connotate da meccanismi di sfruttamento, criminalizzazione ed esclusione dai diritti di cittadinanza, spesso difficili da riconoscere perché sorretti da strumenti istituzionali e normativi che le rendono naturali e accettabili.
  • L’esperienza dell’emigrazione sia interna, dal Sud al Nord, sia dall’Italia verso altri luoghi del mondo – un’esperienza storica, che però non è mai cessata e che è stata sovente accompagnata da fenomeni di sfruttamento e razzializzazione.
  • L’assoggettamento economico e culturale del Mezzogiorno a partire dall’Unificazione, che l’autore – insieme ad altri studiosi – non esita a definire “colonialismo interno” (ivi, p. 91) e che contribuisce a complessificare la contrapposizione tra colonizzatori e colonizzati.

Il merito principale del libro consiste nel sottolineare la centralità della dimensione materialistica, rilanciando l’intercultura come “campo di lotta in cui pesano i rapporti di forza (politici, sociali, economici)” (ivi, p. 18), a partire dalla consapevolezza che “il dialogo interculturale è […] sostanzialmente ostacolato da quelle politiche neoliberiste di blocco della mobilità sociale, di cancellazione del welfare, di precarizzazione del lavoro e di smantellamento dei diritti che costringono a una triste competizione per la sopravvivenza” (ivi, p. 80).

Non meno importante, anche se certamente più consolidata nel panorama della pedagogia interculturale italiana – come mostrano le puntuali e ricche citazioni operate dall’autore – è l’attenzione per il carattere processuale della cultura. Si tratta di una posizione maturata innanzitutto in ambito antropologico, che conduce a valorizzare l’agentività dei soggetti e dei gruppi nel selezionare creativamente e reinventare costantemente i propri riferimenti culturali piuttosto che considerare le culture come unità discrete omogenee al loro interno. Come conseguenza, questa prospettiva predilige al concetto di “identità” quello di “identificazione”, sottolineandone il carattere plurale, contraddittorio e conflittuale.

Proprio in quest’ottica non essenzialista, le nostre molteplici e contraddittorie implicazioni nei sistemi di potere, che l’incontro con l’alterità ci spinge a riconoscere e a esplicitare – come l’autore opportunamente fa proprio all’inizio dell’introduzione – non dovrebbero essere intese come identità fisse, date una volta per tutte e immutabili.  Situarsi piuttosto dovrebbe essere considerato come il primo, necessario passo nella trasformazione decoloniale delle relazioni (Mohanty, 2012), attraverso un impegno che coinvolge radicalmente le nostre vite.

Il libro di Giuseppe Burgio si inserisce appieno e contribuisce al crescente interesse della pedagogia italiana per le chiavi di lettura postcoloniali e decoloniali che, iniziato – come ricorda lo stesso autore – due decenni fa (Sirna, 2003), si è arricchito recentemente di nuovi apporti (Zoletto, 2011; Cima, 2019; Muraca, 2022). È una prospettiva significativa e promettente, che dovrebbe essere ulteriormente sviluppata soprattutto in riferimento a esperienze educative e ricerche empiriche con migranti e richiedenti asilo, ma anche con altri soggetti educativi.

Bibliografia

Burgio G., Pedagogia postcoloniale. Prospettive radicali per l’intercultura, FrancoAngeli, Milano 2022.
Cima R., Attraverso lo sguardo. Per una pedagogia dell’incontro, Carocci, Roma 2019.
Fanon F., I dannati della terra, Einaudi, Torino 1979.
Mohanty C. T., Sotto gli occhi dell’Occidente. Rivisto: solidarietà femminista e lotte antica­pitaliste, in C. T. Mohanty, Femminismo senza frontiere, Ombrecorte, Verona 2012.
Muraca M. (a cura di), L’altra intercultura. Visioni e pratiche poitico-pedagogiche da Abya Yala al mondo, PensaMultimedia, Lecce 2022.
Sirna C., Postcolonial education e società multiculturali, PensaMultimedia, Lecce 2003.
Zoletto D., Pedagogia e studi culturali. La formazione tra critica postcoloniale e flussi culturali transnazionali, ETS, Pisa 2011.
Walsh C., Introducción. Lo pedagógico y lo decolonial: Entretejiendo caminos, in C. Walsh (a cura di), Pedagogías decoloniales: Prácticas insurgentes de resistir, (re)existir y (re)vivir. TOMO I, Abya Yala, Quito 2013.

 

Mariateresa Muraca, dal 2020 ricercatrice postdoc presso l’Universidade do Estado do Pará (in Brasile) con la ricerca “Promuovere la giustizia sociale ed epistemica in aree geopoliticamente complesse”, finanziata dalla CAPES (Coordenadoria de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior). Dal 2018 svolge incarichi di insegnamento presso l’Istituto Universitario Pratesi (docente stabilizzata) e l’Istituto Universitario Progetto Uomo (docente invitata). Ha svolto esperienze di formazione e ricerca in Italia, Guatemala, Mozambico e Brasile. Autrice del libro Educazione e movimenti sociali (Mimesis, 2019), del manuale didattico per i licei delle Scienze Umane I colori della pedagogia (Giunti TVP e Treccani, 2020) e di numerosi articoli scientifici. Fa parte di diverse comunità di impegno e riflessione, tra cui la comunità filosofica femminile Diotima e la Rete nazionale Freire-Boal. Dal 2020 è co-direttrice scientifica di “Educazione Aperta”.