Spettacolo forum “Scelta unica”: quando il teatro favorisce lo sviluppo di una coscienza critica | Spettacolo forum “The only option”: when theatre favours the development of critical conscience 

The article describes the experience of a group formed by students, professors and operators in a social field, who participated in a theatrical laboratory of “Teatro dell’Oppresso”, organised by the Università degli Studi di Messina in collaboration with “Libera” association, in order to promote critical “consciousness” about oppressions caused by mafia mentality in the daily relations.

By this experience, it was realised a “forum theatre show” that involved the participants in the collective search for a solution to the oppressive situation that was performed. In this way, participants became aware that nobody is freed alone, but with the effort of the group.

Keywords: teatre of the oppressed, forum teatre, critical consciousness, legality, university education, social workers’ education, social work.

L’articolo descrive l’esperienza di un gruppo formato da studenti, professori e operatori del sociale che ha partecipato ad un laboratorio teatrale di “Teatro dell’Oppresso”, organizzato dall’Università degli Studi di Messina in collaborazione con l’associazione “Libera”, al fine di promuovere la “coscientizzazione” sulle oppressioni derivanti dalla mentalità mafiosa nelle relazioni quotidiane.

Da questa esperienza è stato realizzato uno “Spettacolo di Teatro Forum”, tecnica maggiormente rappresentativa del Teatro dell’Oppresso, che ha coinvolto il pubblico nella ricerca collettiva di una soluzione alla situazione oppressiva messa in scena. In tal modo, si è giunti alla consapevolezza che nessuno si libera da solo, ma attraverso l’impegno del gruppo.

Parole chiave: teatro dell’oppresso, teatro forum, coscienza critica, legalità, formazione universitaria, formazione assistenti sociali, servizio sociale.

C. Costanzo, Spettacolo forum “Scelta unica”: quando il teatro favorisce lo sviluppo di una coscienza critica, in “Educazione Aperta” (www.educazioneaperta.it), n. 10 /2021.

PDFDOI 10.5281/zenodo.5820294


Pratiche qualificanti per gli studenti universitari

La società di oggi è in continua evoluzione, sempre più complessa, all’interno di essa al pari dello sviluppo tecnologico e della crescita dei saperi, si complicano i bisogni sociali e le oppressioni che regolano i rapporti tra individui e la comunità. I professionisti che operano nel sociale, come gli assistenti sociali, devono saper rispondere a tali cambiamenti, formandosi attraverso pratiche educative che favoriscono un apprendimento dinamico che spazia dalla teoria alla pratica professionale, come la formazione con uso di tecniche teatrali, che consente loro di ampliare le proprie capacità personali rendendoli operatori critici e riflessivi. Una metodologia teatrale oggi molto usata nel mondo della formazione che ha lo scopo di sviluppare una coscienza critica in chi partecipa e agisce sul riconoscimento delle oppressioni sociali e opera per il superamento delle stesse, è il teatro dell’oppresso.

In linea con l’interesse di fornire una educazione critica e quindi riflessiva agli studenti universitari, il dipartimento Cospecs1 dell’Università degli Studi di Messina ha attuato dei percorsi laboratoriali in collaborazione con enti e associazioni di volontariato del territorio, che hanno permesso agli studenti di apprendere tecniche e metodologie educative con carattere innovativo, rispetto al passato. Nel periodo accademico 2019 -2020, sono stati attivati percorsi con l’applicazione di tecniche teatrali, come quelle del teatro dell’oppresso (Td0), con le quali sono state affrontate tematiche diverse, legate alla pratica professionale.

L’uso del teatro dell’oppresso nell’ambito delle strutture educative universitarie non è una novità. Negli anni accademici che spaziano dal 2016-’17 al 2018-’19, all’interno del corso di media educational dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è stata proposta agli studenti un’esperienza “che aveva quale riferimento culturale il Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal” al fine “di sollecitare la capacità di senso critico degli studenti dinanzi ai linguaggi dell’informazione”2. Diventa una novità se ad attuarlo è l’università che forma professionisti, come gli assistenti sociali, mirando a sviluppare sia la teoria che la pratica professionale, con l’obiettivo di formare persone riflessive e dotate di coscienza critica, capaci di trovare soluzioni efficaci, affrontando i problemi della società in cui si apprestano ad operare.

Uno delle tematiche trattate con il metodo teatrale del TdO è quello delle Mafie. Esse, infatti, attraverso il loro sistema criminale sono in grado di agire trasversalmente nella società, producendo effetti sia sulle singole persone sia nella comunità. Imparare a riconoscerla in tutti i suoi aspetti e depotenziare il suo sistema criminale è un dovere istituzionale ma anche civico di ogni cittadino. “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”3, da anni impegnata su tutto il territorio nazionale nella lotta alle mafie, ha proposto il percorso formativo “Altro e Altrove. La ricerca e l’impegno socioeducativo per contrastare le mafie”, in preparazione della comunità alla XXV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, prevista a Palermo il 21 Marzo 2020. Tale manifestazione però a causa della pandemia da Covid-19, non si è potuta svolgere in presenza ma attraverso una campagna social4.

Il dipartimento Cospecs e il presidio dell’associazione “Libera” del territorio di Messina che si occupa del progetto Liberi di Crescere5, partecipando all’iniziativa nazionale, hanno programmato insieme un percorso di sensibilizzazione con la collaborazione di una esperta di teatro dell’oppresso.

Nell’ambito del programma, è stato realizzato un laboratorio didattico chiamato Il teatro dell’Oppresso e della Pace come strumenti di ricerca e di partecipazione6, in cui è stato possibile sperimentare il metodo TdO al fine di realizzare uno spettacolo di teatro forum, che è stato in seguito proposto come attività didattica per il primo incontro formativo del suddetto laboratorio contro le mafie.

La Mafia, fenomeno criminale autoritario che condiziona l’esistenza e i meccanismi della società, è un’oppressione che opera su più livelli e una delle armi per combatterla è l’educazione alla legalità, alla cittadinanza attiva, attraverso una prassi problematizzante.

La mafia, come organismo parastatale, ha leggi proprie e si esprime con un linguaggio “dogmatico”, in quanto non accetta un’alternativa alla “prescrizioni” che impone. Il padre della pedagogia degli oppressi, Paulo Freire ha definito chiaramente la pericolosità delle prescrizioni e il rischio di alienazione che esse producono:

ogni prescrizione è l’imposizione di una scelta, esercitata da una coscienza su un’altra. Perciò il significato della prescrizione è alienante, perché trasforma la coscienza di colui che la riceve in una coscienza ospite dell’oppressore. Il comportamento degli oppressi è una specie di comportamento prescritto. Si struttura su criteri estranei che sono quelli dell’oppressore7.

Come capire quindi di essere soggetti di oppressione e trovare strategie di ribellione ad essa? Come è possibile operare un cambiamento reale nelle persone e infondere la presa di coscienza delle loro potenzialità? Secondo Freire le risposte sono da trovarsi nell’educazione e come questa è stata effettuata, criticandone il modello tradizionale.

Secondo Freire, infatti l’educazione depositante, quella che si basa sulla trasmissione del sapere dall’educatore all’educando in maniera unilaterale senza la partecipazione attiva del discente, rende le persone “emotivamente dipendenti” e “incapaci di esprimere la loro volontà”8; per questo Freire teorizza la pedagogia problematizzante che rivede il rapporto docente-alunno come un processo di educazione, in cui la trasmissione dei saperi non è unidirezionale, ma continua tra i due. Ciò permette agli uomini di prendere coscienza della propria realtà:

[…] mentre nella concezione depositaria l’educatore “riempie” gli educandi di falso sapere (che sono i contenuti imposti), nella pratica problematizzante gli educandi sviluppano le capacità di captare e comprendere il mondo, che appare loro, nei rapporti che stabiliscono, non più come una realtà statica, ma come un processo9.

Le teorie freiriane sono state sviluppate in un contesto sociale di forte oppressione politica, quella del Brasile degli anni ‘60, in cui la differenza di classe tra ricchi e poveri, tra proprietari terrieri e contadini, era ben visibile e il rapporto quindi tra oppressore/oppresso era individuabile tra le condizioni sociali. Oggi, in un contesto sociale democratico come quello del mondo occidentale, le oppressioni non sono così nette e una coscienza critica, riflessiva, può decifrare i rapporti oppressivi che si celano dietro la propria realtà quotidiana, personale, lavorativa.

L’ideatore del teatro dell’oppresso, il regista ed autore August Boal, ha sostenuto le teorie di liberazione di Freire, attraverso un teatro di azione e trasformazione per liberare gli uomini dalle oppressioni, proprio in Brasile per fronteggiare la situazione di oppressione che la popolazione stava vivendo. In seguito, con l’evolversi delle sue vicende personali, che lo portano lontano dal suo paese d’origine fino in Europa, applica il suo metodo in un contesto politico e sociale diverso, che gli permette di riflettere sulla pluralità delle oppressioni che possono insistere sulle persone:

È vero che tutte le forme di questo teatro [...] sono state inventate come risposta. Una risposta estetica e politica alle intollerabili repressione che si esercita oggi su quel continente insanguinato che è l’America Latina; dove ogni giorno decine di uomini e donne sono assassinati dalle dittature militari che opprimono tanti popoli; dove uomini e donne del popolo sono fucilati nelle strade, cacciati dalle piazze pubbliche; dove le organizzazioni popolari proletarie e contadine, studentesche e artistiche, sono sistematicamente smantellate e distrutte, dove i loro leader sono imprigionati, torturati, uccisi o esiliati. [...] Quando mi domandavano se questo [metodo] poteva servire, anche qui, in Europa io rispondevo di sì. Certamente qui non ci sono, tante atrocità, in tali proporzioni. Ma ciò non impedisce che ci siano, anche qui, degli oppressori e degli oppressi. E, se c’è oppressione c’è necessità di un Teatro dell’oppresso, cioè di un teatro liberatore10.

Le oppressioni riguardano, infatti, la globalità della persona ovvero ogni suo aspetto sia corporeo, psicologico, sociale che politico:

a livello corporeo, l’analisi di essa porta a individuare quella deformazione del corpo, chiamata maschera sociale, che riducono meccanizzano il nostro corpo, specializzandolo per il ruolo sociale che ognuno di noi riveste; […] a livello psicologico l’analisi sostiene che la personalità è una riduzione delle potenzialità della persona; dentro di noi ci sono tutte le possibilità: siamo eroi e vigliacchi, ladri, assassini, santi, ecc. Ma la morale, o la paura indotte dalla società etica, ci permettono di esprimere una piccola parte di ciò, solo quello che è compatibile con il nostro ruolo; [...] a livello socio-politico siamo oppressi perché non abbiamo un ambiente pulito, l’assistenza sanitaria è scarsa, la mafia ci taglieggia, non possiamo decidere della nostra vita, ci impongono un aggiornamento, ci licenziano, subiamo la violenza e la corruzione, non troviamo casa, siamo coinvolti nella guerra, ecc…11.

Alessandro Tolomelli, in uno dei suoi contributi sull’uso del teatro dell’oppresso nel campo educativo, riconosce che il metodo si è evoluto “a partire dalla lettura dei differenti contesti in cui Boal si trovava ad operare e dalle modificazioni apportate alle tecniche in base alla lettura dei bisogni dei destinatari”12. Oggi il metodo è utilizzato su scala internazionale, grazie alla sua “duttilità” e “metodologia aperta”13 con cui si adatta ad ogni situazione14. Spostandoci dalla realtà italiana, possiamo fare qualche esempio di uso diverso delle tecniche e del TdO: in Svezia, per esempio, il TdO è ritenuto una pratica teatrale metodologicamente così rilevante tanto da essere inglobata nelle strutture educative e da creare una figura professionale apposita il “dramapedagog che racchiude in sé la duplice dimensione pedagogico e teatrale”15. Mentre, per la capacità di adattarsi ad ogni oppressione e di lavorare in contesti più disparati, è utile ricordare la testimonianza dell’uso della metodologia TdO in luoghi di confine storicamente in contrasto politico, come la Cisgiordania, dove la tecnica è utilizzata “per promuovere l’incontro e il dialogo all’interno della comunità palestinese, divisa tanto dall’occupazione israeliana quanto da altre forme di oppressione socio-culturali”16.

Il laboratorio TdO, come strumento di partecipazione

Il laboratorio Il teatro dell’Oppresso e della Pace come strumenti di ricerca e di partecipazione ha avuto la funzione di analizzare le oppressioni che possono esistere nei rapporti quotidiani con prevaricazione, derivanti dalle prescrizioni (con particolare riferimento ai dispositivi non educativi mafiosi) e dalla educazione depositante. Il laboratorio si è articolato in tre incontri che hanno permesso agli studenti coinvolti di sperimentare le tecniche del TdO per riflettere su come i dispositivi mafiosi tipici possano ripetersi anche in contesti non mafiosi, perché si basano tutti su un rapporto di potere, di dominanza e sottomissione, che insistono sulle nostre relazioni quotidiane all’interno della scuola, della famiglia, della pratica professionale.

Il primo incontro ha avuto una funzione conoscitiva, sia dell’intero gruppo di lavoro, in particolare la posizione delle parti coinvolte come l’associazione “Libera”, sia della tematica alla base del laboratorio, cioè il pensiero dogmatico, ed è stata esplicata la finalità dello stesso, ovvero la creazione di uno spettacolo di teatro-forum, tecnica teatrale in cui è identificata la metodologia del TdO, impiegata spesso per compiere la restituzione pubblica di un percorso laboratoriale svolto. Infatti, il Teatro forum consente di mettere in scena una situazione conflittuale in cui si può riconoscere sia l’oppresso che l’oppressore, mentre il pubblico osserva la scena ed ha la possibilità di partecipare attivamente allo sviluppo della situazione rappresentata. Ogni seduta di teatro forum dura circa due ore ed in questo tempo è racchiusa sia la rappresentazione teatrale, sia il dibattito che segue alla fine della scena. Il teatro forum è guidato in ogni suo aspetto dal “Jolly”, che introduce il laboratorio con gli esercizi di de-meccanizzazione, in seguito ha il compito di spiegare la rappresentazione scenica in cui è presente il conflitto ma non la risoluzione dello stesso, che è l’obiettivo del laboratorio.

Il gruppo è stato indirizzato alla sperimentazione delle tecniche del TdO, riflettendo su forme di oppressione alla quale si era assistito o di cui si era venuti a conoscenza, identificando una oppressione comune agli studenti universitari, vale a dire la paura di essere bocciati all’ultimo appello d’esame prima del conseguimento del titolo di laurea.

Il TdO, infatti, opera su temi che sono percepiti come “reali, veri, urgenti”17 dai partecipanti del laboratorio, perché li impegna a trovare soluzioni “perché sanno che il problema esiste e che bisogna risolverlo subito”18. La maggior parte delle studentesse coinvolte condividevamo la condizione di laureande e la paura di non terminare il percorso di studi entro le prescrizioni previste dal regolamento di ateneo per il conseguimento del titolo.

La situazione oppressiva drammatizzata ha riguardato la simulazione di un colloquio di esame, in cui l’oppressore era il docente e l’oppresso era lo studente. La simulazione, presenta il caso di oppressione di uno studente che non riesce a esprimere le sue conoscenze perché bloccato dal pregiudizio del docente, che suppone che il candidato non abbia una preparazione adeguata a superare l’esame. I due personaggi si trovano su diversi livelli di una scala gerarchica, basata sui rapporti di potere in cui lo studente oppresso si trova in una posizione di svantaggio rispetto al docente oppressore, che detiene il potere di decidere l’esito dell’esame.

La figura dell’oppresso è stata interpretata da studenti che hanno reagito in modo diverso all’oppressione. Alcuni hanno subito la decisione del docente per paura di ulteriori conseguenze future, altri si sono ribellati al potere del docente perché più consapevoli delle loro capacità, argomentando le proprie ragioni.

Tale aspetto rimanda alla concezione di potere del sociologo tedesco Weber, inteso come un atteggiamento esercitato da colui che riesce a trovare negli altri la disponibilità all’obbedienza, senza critiche e resistenze. Tale atteggiamento regola i rapporti di potere tra gli individui e i gruppi sociali. Questi, infatti, riconoscono legittimità al contenuto del comando, anche perché le forme in cui esso si presenta, sono legittimate dalla tradizione, dall’apparato legislativo o dalle caratteristiche di un leader. È importante ricordare che il sociologo specifica due aspetti del potere: con il termine “potere” (Herrschaft), Weber riconosce “la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto”19; mentre nella seconda accezione identifica come “potenza” (Macht) “qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di fronte un opposizione, la propria volontà quale che sia la base di questa possibilità”20.

Lo studente che rinuncia a lottare per i suoi diritti e subisce passivamente il potere del docente perché lo legittima, temendo di sconvolgere una situazione che per natura deve “essere così”, incarna la condizione dell’oppresso che Freire tratta nel primo capitolo del libro Pedagogia degli oppressi. Come sostiene il pedagogista, gli oppressi “accomodati e adattati, immersi nell’ingranaggio della struttura dominante, temono la libertà, perché non si sentono capaci di correre il rischio di assumerla. E la temono anche perché lottare per essa costituisce una minaccia, non solo per gli oppressori, che la usano come “proprietari” esclusivi, ma anche per i compagni oppressi, che si spaventano all’idea di maggiori repressioni”21.

La capacità di prendere coscienza della propria condizione non è immediata, in quanto spesso l’oppresso immerso nella propria realtà sociale, che ha imparato a guardare in base alla visione degli oppressori, può avere paura della libertà che tale rifiuto del mondo può provocare. Ragion per cui, l’oppresso deve essere sostenuto dalle persone solidali, che si impegnano attivamente nella liberazione, responsabilizzandosi ed impegnandosi nella soluzione dei loro problemi con un impegno costante. Freire infatti descrive che:

La realtà di oppressione comporta l’esigenza di coloro che opprimono e di coloro che sono oppressi. Costoro, cui spetta realmente lottare per la loro liberazione insieme con quelli che si fanno solidali con loro, hanno bisogno di acquisire la coscienza critica dell’oppressione, nella prassi di questa ricerca22.

La tecnica del teatro forum consente l’attivazione del singolo e del gruppo che si fa solidale nella ricerca di una soluzione alle oppressioni rappresentate. Attraverso la finzione della realtà oppressiva consente alle persone di riconoscere la propria condizione di oppresso e di ricercare e sperimentare possibili soluzioni che possano portare ad un reale cambiamento nella quotidianità della propria vita. Come afferma Freire, infatti, “gli oppressi, che sono la contraddizione dell’oppressore, che ha in essi la sua verità, superano la contraddizione in cui si trovano solo quando il riconoscersi oppressi li impegna nella lotta per liberarsi”.23

Il secondo incontro è stato fondamentale per la comprensione dell’intero gruppo delle pratiche di TdO. La prima attività svolta, infatti è stata una dinamica di de-meccanizzazione, che è la tecnica che consente ai partecipanti di de-costruire la propria “maschera sociale”, ovvero il ruolo che le persone ricoprono nella società e che viene loro attribuite dagli altri. La de-meccanizzazione consiste in una serie di esercizi motori che investono il corpo e la mente, per recuperare e riattivare la dimensione fisica del corpo, per sentire un corpo nuovo ed essere pronti al percorso teatrale. Tale attività sblocca i sensi e le percezioni, libera la mente da preoccupazioni e blocchi emotivi e facilita la collaborazione e la fiducia tra i membri del gruppo. Ogni laboratorio dell’oppresso è introdotto da tale tecnica.

Gli esercizi hanno come finalità la de-meccanizzazione che consiste nello sciogliere i blocchi, rigidità, atrofie e ipertrofie psico-fisiche che sono legate ai ruoli sociali che ricopriamo abitualmente e che determinano quella che Boal chiama la maschera sociale. È possibile condividere l’idea che semplici esercizi possano trasformare il modo di sentire le persone solo se si prende in considerazione una delle ipotesi fondamentali del TdO: quella della globalità della persona24.

Nella metodologia del TdO è fondamentale liberare il corpo e trovare un’ armonia tra questo e lo spazio, liberarlo senza il peso del ruolo quotidiano, perché il cambiamento si deve percepire sulla pelle, occorre prendere coscienza di essere liberi partendo dal corpo, dandogli piena importanza e rilevanza. Il tema del corpo e come questo si evolve nella società occidentale, con le sue contraddizioni è stato il contesto di riferimento dello spettacolo forum realizzato a Parma nel 2017, come evento iniziale del convegno LUdE “il corpo in educazione”. Per la costruzione dello spettacolo di teatro-forum è stata realizzata una ricerca delle contraddizioni e oppressioni che vive il corpo Ed è stata evidenziata la netta separazione che è avvenuta nell’occidente tra la cura del corpo e quella della ragione: “l’educazione avviene a scuola mentre la cura del corpo è riservata al tempo libero, quindi non c’è riflessione su come educhiamo il corpo fuori scuola e nel pensiero dominante se vai male a scuola la punizione può essere che non vai a fare sport, come se uno fosse il dovere e l’altro il piacere o il superfluo”25 Gli esercizi effettuati hanno permesso di sbloccare la propria corporeità e di percepire la presenza dell’altro nello stesso spazio. Ciò ha consentito di ricostituire il clima di gruppo instaurato nell’incontro precedente.

In seguito, è stata utilizzata la tecnica del teatro immagine, che è la tecnica in cui viene coinvolto il corpo dei partecipanti al fine di costruire delle statue umane che rappresentano le situazioni oppressive. È una drammatizzazione della realtà statica, in cui i corpi parlano e si esercita l’osservazione come strumento di comprensione del non detto.

I temi sui cui si è riflettuto per elaborare una statua immagine sono stati individuati dal gruppo di docenti educatori e volontari che operano nei quartieri ad alto rischio criminale, in base alla loro esperienza e conoscenza del fenomeno facilmente riscontrabili nella quotidianità, quali: la svalutazione affettiva, intesa come svalutazione dei legami familiari, amicali, amorosi; l’atteggiamento familistico, inteso come quei legami fondati sull’appartenenza piuttosto che sulla giustizia; il pensiero dogmatico inteso come pensiero unico in cui non è accettata una linea di pensiero alternativo ad esso.

Ogni partecipante ha scelto di rappresentare il dispositivo che riteneva più presente nella società, creando tre immagini corporee dando loro un titolo.

Infine, la riflessione si è spostata sulla comprensione del rapporto oppressi/oppressori consentendo di individuare e definire la storia e i personaggi per lo spettacolo forum.

L’intero copione e le prove sono state realizzate durante il terzo incontro, insieme alla formatrice del teatro dell’oppresso che ha seguito il laboratorio, che attraverso esercizi di de-meccanizzazione e dinamizzazioni ha guidato il gruppo nella costruzione dei personaggi dello spettacolo forum, messo in scena in data 19 febbraio 2020 come incontro iniziale del percorso laboratoriale Altro e altrove.

Lo spettacolo forum è la drammatizzazione di una situazione problematica in cui il pubblico, nel ruolo di spett-attore, può sostituirsi ai personaggi oppressi della scena e tentare di metter in atto un cambiamento. Inizialmente questa metodologia non prevedeva questo tipo di coinvolgimento del pubblico, ma nessuno può rappresentare un’idea, una reazione all’oppressione se non la sperimenta. Il pubblico non può aspettarsi che l’attore comprenda appieno il proprio pensiero e quindi deve essere lo stesso spettatore che deve interpretarlo, diventando da spettatore passivo a parte attiva dello spettacolo, così detto “Spett-attore”.

Il coinvolgimento attivo del pubblico che potrà partecipare alla scena dopo aver individuato il soggetto oppresso e l’oppressore, consente di comprendere l’oppressione presente sulla scena, immedesimandosi nell’identità del personaggio del ruolo che hanno sostituito. Il pubblico, una volta dentro la scena dovrà presentare la sua idea di cambiamento e cercare di vincere l’episodio vessatorio. Gli spett-attori possono sostituire solo la persona oppressa e con il loro atteggiamento possono offrire una soluzione di cambiamento della situazione, mentre gli altri protagonisti già in scena reagiranno a soggetto, in base alle azioni del nuovo “oppresso”. Nel caso in cui si entri in una situazione di stallo, il jolly che è la guida del TdO, si occupa dell’attivazione del pubblico e spesso interviene sostituendo lo spett-attore, e tutto il processo continua finché si trova una strategia di intervento. Il laboratorio si conclude con un dibattito finale a cui partecipa tutto il gruppo.

Il Jolly è colui che conduce e gestisce il laboratorio e l’intera performance; è il registra “esplicito” e la sua funzione è assai complessa in quanto la sua attività si svolge nella linea di confine tra scena e realtà, tra personaggi interpretati e persone reali26.

Fondamentale nello spettacolo forum è il ruolo del jolly, ovvero la figura responsabile dell’attivazione del pubblico, che ne media la partecipazione nella drammatizzazione, stabilendo il tempo della performance degli spett-attori. Il jolly è una figura neutrale che non può esprimere giudizi, può ascoltare e osservare le azioni dello spett-attore e intervenire con fare problematizzante, cioè senza fornire soluzioni alle oppressioni, ma avviando una funzione di tipo maieutico stimola la ricerca di possibili soluzioni, facendo pensare e riflettere alle conseguenze delle eventuali scelte attuate, con l’esternazione di domande guida che facilitano la riflessione e l’intervento spontaneo del pubblico, come ad esempio: “hai risolto l’oppressione? Hai ottenuto il cambiamento, sperato? È l’unica azione possibile?

Scelta Unica, quando la scelta è “prescritta”

Lo spettacolo di teatro forum “Scelta Unica”, presentato al primo incontro del laboratorio Altro e Altrove27, rappresentava un contesto in cui il dispositivo prevalente era il pensiero dogmatico. È stata scelta come tematica, una situazione oppressiva facilmente riscontrabile nelle famiglie in cui i genitori agiscono per il bene dei figli senza ascoltarli. Nello specifico il contesto era quello dell’incontro scuola-genitori per l’orientamento universitario degli studenti delle scuole superiori. L’oppressore è uno stereotipo di padre padrone che impone la scelta dell’università alla figlia, poiché secondo la linea del suo pensiero unico, la facoltà di giurisprudenza rappresentava l’unico corso di laurea in grado di procurare un sostegno economico ed una posizione sociale prestigiosa nel futuro per la figlia. Tale posizione viene avvalorata da un’insegnante della ragazza, che sostiene le sue capacità nelle discipline giuridiche e quindi condivide con il padre il ruolo di oppressore. Sofia, la figlia, che vorrebbe frequentare il corso in Scienze del Servizio Sociale, rappresenta la figura dell’oppresso, condivisa con un’altra insegnante che sostiene le sue propensioni per il sociale, e alla madre della ragazza che non si oppone al pensiero del marito.

Dopo una prima rappresentazione della scena, il jolly ha invitato il pubblico a riconoscere la situazione oppressiva, che ha coinciso con una frase del padre, tipica del pensiero depositante, dogmatico: “Sofia! farai Giurisprudenza! È così perché te l’ho detto io!”, in quanto tutti hanno compreso la gravità del messaggio, in cui era evidente l’affermazione autoritaria di potere sulla figlia oppressa. In seguito, durante lo spettacolo forum è stato possibile notare che gli spett-attori si sono maggiormente sostituiti alle figure oppresse dell’insegnante a favore della ragazza e della madre, ovvero le figure che hanno individuato come possibili risolutori per contrastare il potere del padre, perché si è compreso come ogni personaggio coinvolto nello spettacolo sia rilevante e incisivo, per aggravare o trasformare la relazione oppressiva.

Il pubblico, composto da studenti dell’Università di Messina e da vari professionisti del mondo sociale quali assistenti sociali, educatori, insegnanti, e volontari di associazioni, superato lo smarrimento iniziale di palesarsi in una realtà dinamica come quella teatrale, con la mediazione del Jolly, ha partecipato attivamente allo spettacolo, facendo leva sul proprio vissuto e sulle conoscenze personali, al fine di sbloccare la situazione oppressiva, effettuando innumerevoli tentativi di soluzione del conflitto in atto.

Alla fine dello spettacolo forum è stato previsto un confronto con il pubblico, che è stato invitato ad esprimere le proprie valutazioni sull’esperienza svolta, seguito da un dibattito sull’importanza sui temi della legalità e l’impegno che l’educazione problematizzante produce.

Questo spazio di scambio di opinioni conclusivo ha permesso di rilevare la realizzazione dello scopo dello spettacolo forum, poiché il pubblico ha acquisito attraverso la presa di coscienza delle realtà oppressive, l’importanza del ruolo che ognuno inconsapevolmente ricopre all’interno delle relazioni e come qualsiasi azione e comportamento può ribaltare l’esito delle stesse, migliorando o peggiorando le oppressioni in atto: operando senza riflettere sulle conseguenze delle azioni, esprimendo giudizi, dando per scontato una convinzione.

Nello specifico il pubblico ha compreso che non esiste il modo perfetto per risolvere un’oppressione, ma lavorare in gruppo, riconoscersi come un’unica identità, collaborando insieme, è possibile operare un cambiamento nella realtà oppressiva. Solo con l’unione delle persone è possibile incidere concretamente nella trasformazione della realtà perché come nessuno può liberarsi da solo e tutti sono responsabili di ciò che accade nella nostra società.

Valutazione dell’esperienza

Il percorso laboratoriale di TdO ha previsto un coinvolgimento completo del gruppo che ha partecipato ad esso: corporeo, psicologico ed emotivo. La novità riconosciuta dal gruppo di studentesse è stata quella di collaborare con i docenti ed altri professionisti in condizione di parità, all’interno del laboratorio. Le sette studentesse coinvolte appartenevano al corso di Scienze del Servizio Sociale e di Scienze dell’Educazione e solo due avevano esperienza pregressa di teatro. L’attività iniziale, che prevede esercizi corporei che aiutano a perdere la maschera sociale che ognuno di noi incarna nel quotidiano, è stata eseguita con imbarazzo e senso del dovere di fare, in particolare al primo incontro, quando il gruppo doveva conoscersi e ancora non erano chiare le attività da svolgere. La paura di essere giudicati, infatti, era molto sentita al primo incontro: nessuno aveva mai abitato lo spazio “aula” come durante il laboratorio, che ha visto la sua trasformazione da luogo di studio abitato da sedie e scrivanie a campo in cui confrontarsi e muoversi in libertà. Questo cambiamento è stato visibile non solo per l’entusiasmo nel ricominciare le attività ma grazie a verifiche conclusive che la conduttrice effettuava. Nello specifico ogni incontro terminava con un momento di “circle time” entro il quale ognuno esprimeva con un aggettivo il proprio stato d’animo, diverso da quello iniziale. L’esperienza fin qui descritta, pur essendo breve, è stata significativa e impegnativa anche per le tematiche trattate. Le studentesse hanno compreso e preso coscienza di quanto sia complesso e difficile riconoscere una situazione oppressiva, identificarla e riuscire ad affrontarla, come la realtà che ci circonda possa essere contemporaneamente sia oppressa che oppressiva, e quanto sia difficile identificare le stesse posizioni di oppresso e oppressore, se non si cambia il modo di guardare alle situazioni e alla realtà che ci circonda. Lo stesso fenomeno della mafia è stato compreso con fare problematizzante, perché analizzato nelle sue sfaccettature quotidiane e nella riflessione concreta su come cambiare gli atteggiamenti personali nella realtà. L’esperienza dello spettacolo di teatro forum ha permesso di mettersi in gioco in prima persona in quanto, ognuno ha interpretato gli attori principali della scena rappresentata, e per farlo è stato necessario calarsi nella parte per cercare di essere più reali possibili. Il percorso del gruppo attraverso lo scambio dei saperi ed esperienze, l’ascolto reciproco ha suscitato crescita e consapevolezza riguardo alle proprie capacità e alla conoscenza di altre realtà.

Conclusioni

Grazie alla possibilità di sperimentare la realtà oppressiva in un contesto protetto quale il laboratorio teatrale TdO, in cui le persone avviano un processo di libertà che parte dalla propria immagine, è possibile fare esperienza di “vita reale” perché si imparano strategie di comportamento, nuovi modi di essere e di vedere il mondo che si mettono in pratica nelle relazioni quotidiane.

L’azione teatrale è quindi la prova per l’azione reale: durante l’evento di TdO si può agire in modo più libero, protetto e reversibile ed usufruire del lavoro del gruppo per esplorare le possibilità di soluzioni in modo da poterle estrapolare dalla vita stessa ed agirle realmente28.

Nel teatro, infatti, la doppia presenza della realtà e della finzione consente di provare come le proprie scelte e azioni potrebbero incidere nella quotidianità. L’esperienza teatrale è quindi esperienza di realtà, in cui gli individui esprimono sé stessi e apprendono la capacità di immedesimazione nell’altro e l’empatia, che sono elementi caratterizzanti la pratica professionale degli assistenti sociali. Caratteristica fondamentale del teatro è la sua capacità di eliminare pregiudizi insiti nell’esperienza o nella cultura di ognuno, di ribaltare le convinzioni, i ruoli ed i luoghi comuni.

Dal confronto con le colleghe, che hanno partecipato a questi incontri, è emerso che tale partecipazione ha permesso di avere un’opportunità, oltre il tirocinio formativo, per allenare ulteriormente le tecniche e le capacità personali che sono adesso utili nello svolgimento dell’attività professionale. In generale, infatti, attraverso i laboratori teatrali la persona si mette in gioco, supera i propri limiti e pregiudizi, impara a fare squadra, a sviluppare una visione di gruppo e portare a termine un obiettivo, allena l’empatia, conosce il proprio corpo e il linguaggio dello stesso. Conoscere il linguaggio non verbale trasmesso dal corpo e come una persona vive lo spazio, è importante ed utile nelle tecniche di conduzione dei colloqui professionali per riuscire a comprendere i silenzi e il disagio inespresso nella relazione d’aiuto.

La partecipazione ad un laboratorio di TdO, quindi consente grazie alle sue caratteristiche di diventare consapevoli dei meccanismi oppressivi che gli individui e di sviluppare una coscienza critica in coloro che lo sperimentano, e stimolare la capacità di trasformazione e reazione ai propri conflitti, portando ad una nuova consapevolezza del sé e delle proprie capacità. Tutto ciò è in allineamento con gli obiettivi del servizio sociale professionale e le competenze che si richiedono agli assistenti sociali.

La definizione internazionale di servizio sociale ne è un esempio, in quanto afferma che esso: promuove il cambiamento sociale e lo sviluppo, la coesione e l’emancipazione sociale, nonché l’empowerment e la liberazione delle persone. Inoltre, definisce come fondamentali i principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità”29.

È una definizione madre, che riconosce l’assistente sociale come un professionista riflessivo e critico che opera in una relazione di aiuto con le persone, guidandole con empatia e atteggiamento non giudicante, verso l’emancipazione per superare la condizione di bisogno. Gli assistenti sociali devono attuare in maniera critica gli interventi che meglio possono promuovere l’autonomia personale e l’attivazione delle competenze delle persone concordando con esse le azioni da attuare insieme, al fine di renderli autonomi dal problema e dal servizio offerto.

Lena Dominelli, chiarisce che i principi che guidano la professione “devono essere sempre contestualizzati per riuscire a calarli nella realtà del lavoro sociale, e hanno bisogno di essere attuati attraverso l’empatia del professionista e la capacità di mostrarsi nei panni dell’altro, andando al di là della propria esperienza o superando i limiti di ciò che si conosce già, per accettare diverse forme di comportamento”30.

Superare i propri limiti, spogliarsi dei propri pregiudizi, con una mentalità aperta e riflessiva, operare in modo critico e con atteggiamento maieutico verso la persona è il suggerimento che le metodologie del servizio sociale non oppressivo (AOPs) auspicano ad ogni social worker31. I metodi prevedono una riflessione continua del proprio lavoro attraverso la verifica delle proprie capacità personali.

Gli assistenti sociali come professione sono soggetti a formazione continua e come definito dall’articolo 3 del regolamento delle formazione continua degli assistenti sociali della regione Sicilia può essere: sia “un aggiornamento e formazione specifica, quale attività finalizzata al mantenimento, approfondimento e sviluppo delle competenze tecnico-professionali dell’iscritto, attinenti alle materie oggetto dell’esercizio dell’attività professionale e/o alle funzioni svolte che consiste nella frequenza di seminari, convegni e conferenze, anche in modalità e-learning; sia una formazione attiva tale da richiedere processi di teorizzazione e riflessività sull’esercizio della professione e produzione di conoscenze e competenze e per ciò che attiene gli adempimenti e le direttive in tema di competenze innovative rispetto all’esercizio della professione di assistente sociale, management, pubblica amministrazione e innovazione nel welfare”.

L’uso delle tecniche teatrali di TdO impiegate durante il percorso formativo universitario, rispondono dunque all’esigenza di sviluppare competenze personali e relazionali degli studenti attraverso un approccio riflessivo e problematizzante realizzando un apprendimento tra la pratica e la teoria, acquisendo una visione d’insieme delle oppressioni sociali, lavorando sulla propria persona e sullo loro sguardo del mondo.

L’attività formativa con le tecniche TdO è da considerare tra le pratiche innovative dell’esercizio della professione. Per gli assistenti sociali che vi partecipano è utile, oltre per l’acquisizione di competenze ed arricchimento su tematiche rilevanti, anche per scopi di supervisione delle proprie capacità e per liberarsi dalla stanchezza e dalle oppressioni che il lavoro sociale comporta. Le tecniche TdO, inoltre, comportano un’attivazione di tutte le persone coinvolte permettono di conoscere altri professionisti quindi fungono da punto d’incontro e scambio di esperienze tra i partecipanti. Arricchisce quindi la capacità di collaborazione tra i colleghi, che per quanto prevista come metodologie di intervento sociale, spesso è difficile da mettere in pratica, poiché è opportuno spogliarsi del proprio io e porsi in atteggiamento non giudicante anche nei confronti dei colleghi.

La possibilità di scambio e confronto tra colleghi è un esigenza già riscontrata tra i professionisti in anni precedenti: dalle interviste condotte all’interno della ricerca sul ruolo dell’assistente sociale come agente di integrazione tra l’utenza immigrata, il servizio e le istituzioni di riferimento condotta da T. Tarsia “tutti ricordano come significativi i momenti di formazione e incontro realizzati nell’esperienza lavorativa […] l’esigenza di dialogare tra colleghi o professionisti, in molti casi, risponde a un bisogno di ricerca, di supervisione reciproca e riscoperta delle motivazioni personali e professionali” 32.

Sicuramente l’implicazione della partecipazione a corsi e seminari con tecniche teatrali, è una novità rispetto agli incontri di formazione con una metodologia tradizionale. Però se ricolleghiamo l’esperienza del laboratorio TdO realizzato a Messina con quella realizzata in altri contesti universitari e non, possiamo affermare che oggi è una necessità cercare di creare percorsi originali e riflessivi diversi dalla semplice didattica frontale, che non sempre si adatta ai cambiamenti sociali per sviluppare maggiore consapevolezza negli studenti di essere contemporaneamente persone in formazione e maestri di se stessi, nell’ottica di una formazione circolare del sapere. Il periodo storico che stiamo vivendo non è stato ideale per l’utilizzo di questo tipo di formazione in presenza, durante il quale, per mantenere il distanziamento sociale, si è preferito la modalità online per tutti i tipi di corsi di formazione in modalità e-learning, ma è auspicabile che percorsi di formazione personali e professionali con l’uso di tecniche teatrali continuino ad essere realizzate sia per gli studenti universitari in formazione sia per i professionisti già avviati nel mondo del lavoro.

Bibliografia

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Regolamento per la formazione degli Assistenti Sociali della regione Sicilia, Redatto ai sensi del D.P.R. 137/12 e del Regolamento del Consiglio Nazionale del 14 dicembre 2019 in vigore dal 1 gennaio 2020, Approvato con delibera n. 117 del 11.07.2020.

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Concetta Costanzo è un’Assistente Sociale, iscritta all’albo professionale degli Assistenti Sociali della Regione Sicilia, laureata in Scienze del Servizio sociale presso l’Università degli Studi di Messina con una tesi sperimentale dal titolo “La formazione teatrale per gli assistenti sociali”. Recita da undici anni presso una compagnia di teatro amatoriale.

 

1 Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali dell’Università degli Studi di Messina.

2 M. Aglieri, S. Aprigliano, Esercizi di libertà. Esperienze di teatro dell’oppresso nella didattica universitaria, in “Media Education – Studi, ricerche, buone pratiche”, 10, 2, 2019, p. 234.

3 L’associazione “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” promuove a livello nazionale la tutela dei diritti di cittadinanza, la cultura della legalità democratica e le tematiche della giustizia sociale, valorizzando la memoria delle vittime della Mafia, che viene celebrata il 21 marzo di ogni anno, con varie manifestazioni finalizzate alla riflessione da parte della società civile, in modo da riflettere sulla crudeltà della mafia, sul suo legame con il territorio e le modalità per contrastarla per cambiare il futuro. (www.libera.it)

44 La campagna social è possibile visionarla sul sito https://vivi.libera.it/it-21marzo

5 Il progetto educativo “Liberi di Crescere”, portato avanti dall’Associazione Libera, diffuso sia a livello nazionale che locale, prevede la creazione di laboratori di coscientizzazione all’interno delle scuole, soprattutto in contesti periferici in cui può facilmente esistere il dominio mafioso. Url: www.libera.it

6 Il gruppo di lavoro è stato composto dal personale docente P. Panarello, A. Versace, T. Tarsia, D. Tomasello (Cospecs, UniME), G. Italia (Rete Freire-Boal), e S. Rizzo (Libera); mentre il gruppo studentesco, è stato composto da sette studentesse di vari corsi di laurea del dipartimento, tra cui l’autrice dell’ articolo. Tutti gli incontri si sono svolti all’interno della sezione centrale del dipartimento Cospecs dell’Università degli Studi di Messina.

7 P. Freire, Pedagogia degli oppressi, Edizione gruppo Abele, Torino 2021, p. 52.

8 Ivi, pp. 70-71.

9 Ivi, p. 92.

10 A. Boal, Il poliziotto e la maschera, giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso, a cura di R. Mazzini, Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2009, p.34.

11 Ivi, p. 133.

12 A. Gigli, A. Tolomelli, A. Zanchettin, Il teatro dell’oppresso in educazione, Carrocci, Vignate (Mi) 2018, p. 27.

13 Ibidem.

14 A. Tolomelli suggerisce il sito www.theatreoftheoppressed.org, attraverso cui si può accedere alle esperienze internazionali. Un sito rilevante, inoltre, a cui si rimanda per ulteriori informazioni sul tema è https://scholarworks.uni.edu/ptoj/ dal quale si può accedere al “pedagogy and theatre of the oppressed Journal”in cui è possibile scaricare le ricerche relative all’uso del TdO all’estero.

15 A. Tolomelli, Il Teatro educativo e l’utilizzo del Teatro dell’Oppresso nei contesti educativi in Svezia, in “Ricerche di Pedagogia e Didattica”, 3, 2008, p. 8.

16 L. Fracalanza, Costruire Comunità, attraverso i Checkpoint: fare teatro dell’oppresso in Palestina, in “Educazione interculturale”, novembre 2017, url: https://rivistedigitali.erickson.it/educazione-interculturale/archivio/vol-15-n-2/costruire-comunita-attraverso-i-checkpoint-fare-teatro-delloppresso-in-palestina-.

17 A. Boal, Il poliziotto e la maschera, giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso, a cura di R. Mazzini, cit., p. 35.

18 Ibidem.

19 M. Weber, Economia e Società-teoria delle costruzioni sociologiche, Edizione di Comunità, Torino 1999, p. 52.

20 Ivi, p. 51.

21 P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 53.

22 Ivi, p. 57.

23 Ivi, p. 54.

24 A. Tolomelli, Il teatro Formazione II-Metodologie del teatro dell’oppresso: incontro con i contesti formativi, in “For: rivista Aif per la formazione” 66, 2006, p. 46.

25 R. Mazzini, Il corpo tra sfruttamento e oblio, a cura di M. Gagliardo, S. Rizzo, T. Tarsia, E. Vergani, Corporeità, pratiche educative con i corpi in crescita, Franco Angeli, Milano 2018, p. 110.

26 Ivi, p. 45.

27 Il primo incontro del percorso “Altro e Altrove. ...”si è svolto in due modalità. La prima fase ha previsto un seminario sui temi del progetto quali: il ruolo dell’educazione riflessiva per combattere la mafia e il raggiungimento della coscientizzazione al fenomeno attraverso percorsi-laboratori realizzato nei territori; la presentazione del progetto Liberi di Crescere e l’impegno del presidio di Libera a Messina nel territorio cittadino a tale scopo. La seconda fase ha previsto la suddivisione dei partecipanti in due attività. Un gruppo ha seguito un laboratorio della pace, un altro ha partecipato allo spettacolo forum “Scelta Unica” che è il prodotto finale del laboratorio “Il teatro dell’Oppresso e della Pace come strumenti di ricerca e di partecipazione”.

28 Ivi, p. 45.

29 Si rimanda l’approfondimento della definizione nel sito https://www.eassw.org/global/definizione-internazionale-di-servizio-sociale/

30 L. Dominelli, Il servizio sociale. Una professione che cambia, a cura di M. L. Ranieri, Edizioni Erikson, Trento 2005, p. 94.

31 Le metodologie del servizio sociale non oppressivo sono state descritte ed analizzate da L. Dominelli nel suo testo Anti-Oppressive Social Work Theory and Practice, Palgrave Macmillan, London 2002.

32 T. Tarsia, Aver cura del conflitto. Migrazioni e professionalità sociali oltre i confini del welfare, Franco Angeli, Milano 2010, p. 84.