Una pedagogia implicita. Conversazione a più voci su Piccoli maestri – scuola di lettura per ragazzi | An implicit pedagogy. A multiple voice conversation on Little Teachers - a reading school for children

PDF: DOI 10.5281/zenodo.6854726 

Founded in 2011, Piccoli maestri is an association of writers who go to the schools to read and narrate beloved books. What pedagogy do they bring with them? The Piccoli maestri go into classrooms, narrate and read, they don't necessarily have explicit pedagogical references. We will then look for an implicit pedagogy. The investigation has two objectives: 1. to identify what is behind the engagement in schools of Piccoli maestri; 2. to find out what they think they bring as a dowry when they arrive in the classroom with a book.

Keywords: reading, storytelling, school, authors, Piccoli maestri

Piccoli maestri, nata nel 2011, è un’associazione di scrittrici e scrittori che vanno nelle scuole a leggere e a raccontare libri per i quali hanno una passione. Quale pedagogia portano con sé? I Piccoli maestri, in aula, raccontano e leggono, non è detto che abbiano riferimenti pedagogici consapevoli. Cercheremo allora una pedagogia implicita. L’indagine ha due obiettivi: 1. individuare cosa spinge i Piccoli maestri a impegnarsi a scuola; 2. scoprire che cosa pensano di portare in dote quando arrivano in classe con un libro.

Keywords: lettura, narrazione, scuola, autori, Piccoli maestri

Introduzione

“Piccoli maestri”, dal titolo del libro di Luigi Meneghello, nasce da un’idea di Elena Stancanelli. Mi ricordo perfettamente quando Elena ne parlò per la prima volta, il 29 di aprile del 2011, in coda al primo incontro di TQ (Trenta Quaranta, dall’età che allora avevamo, scrittori, scrittrici, lavoratori dell’editoria che chiedevano in primo luogo a sé stessi un impegno, una assunzione di responsabilità civile). Nella grande sala con il ballatoio della casa editrice Laterza l’idea sembrò subito fertile. Ne venne fuori un progetto: “Su ispirazione del lavoro fatto da Dave Eggers in America (826 Valencia)[1] e Nick Hornby a Londra (Il ministero delle storie)”[2], scriveva Elena, “ho immaginato qualcosa di simile in Italia. La mia idea sarebbe quella di fare una scuola di lettura pomeridiana, indirizzata ai ragazzi delle scuole medie superiori, tenuta dagli scrittori, che parteciperebbero a titolo gratuito, mettendo a disposizione un po’ di tempo e la loro passione per i libri”[3]. Allora ci trovammo accanto la Provincia di Roma (il presidente Zingaretti e l’assessora alla cultura Cecilia d’Elia), in seguito trovammo sostegno nella Regione Lazio (il presidente Zingaretti, l’assessora alla cultura Lidia Ravera). Ci accorgemmo poi nel rapporto con le scuole che per le insegnanti, ma anche per i ragazzi e per le ragazze, era meglio che andassimo proprio a scuola e che andassimo la mattina mettendo l’incontro con uno di noi come un cuneo fra le ore di lezione. All’inizio pensavamo a una scuola di lettura per ragazzi delle superiori, ma c’è voluto poco e abbiamo finito per frequentare anche i bambini e le bambine della scuola primaria e i ragazzi e le ragazze della scuola secondaria di primo grado. Il 25 ottobre del 2012 i Piccoli maestri sono diventati un’associazione, che quest’anno compie 10 anni.

Oggi Piccoli maestri è un’associazione di scrittori e di scrittrici che vanno nelle scuole a raccontare i libri che amano: ha come scopo la promozione della lettura, come vocazione sostenere la scuola pubblica. L’idea di base è semplice ed essenziale: uno scrittore, una scrittrice, sceglie un libro, lo legge e lo racconta a scuola portando la sua attitudine alla lettura tra i ragazzi e le ragazze, creando con la sua presenza e la sua passione, se tutto va bene, curiosità e contagio. I Piccoli maestri entrano a scuola occasionalmente, sono ospiti. Portano in aula in primo luogo le proprie persone, sono artisti della parola. Si impegnano a non parlare di libri propri, ma di libri amati, leggono e raccontano spesso i classici, ma a volte anche libri usciti di recente, sempre libri che hanno cari. La maggior parte dei Piccoli maestri abita a Roma, ma ce ne sono a Torino, Milano, Taranto, Bari, Palermo e anche in altre città. Le insegnanti scelgono l’ospite da un elenco pubblicato sul sito dell’associazione che incrocia lo scrittore e i libri che propone.

Negli anni passati, i Piccoli maestri hanno raggiunto le scuole del proprio territorio. La presenza concreta, la voce, il corpo avevano un impatto e un ruolo, creavano attorno all’ospite una particolare tensione. Nella primavera del 2020 per via del Covid, in reazione al lockdown, l’associazione ha lanciato un’iniziativa, Sfangarla: i Piccoli maestri hanno portato i loro incontri on-line, in Dad. L’iniziativa è stata importante perché ha permesso a noi Piccoli maestri di sperimentare le possibilità che la rete offriva. Il legame fra il Piccolo maestro e il suo territorio cittadino o al massimo regionale si è rotto a favore di un’apertura nazionale. Piccoli maestri romani sono entrati nelle case dei ragazzi in Brianza, in Sicilia, in Trentino, Piccoli maestri veneziani si sono ritrovati nelle scuole toscane o salentine. Il primo risultato ottenuto dallo spostamento degli incontri in Dad è stato la messa in discussione del privilegio del centro rispetto alla periferia, ha mescolato le carte.

Durante l’anno scolastico 2020/2021, la presenza dei Piccoli maestri in Dad si è istituzionalizzata con il progetto 100 libri: Leggere leggeri sostenuto dal Ministero. 100 libri di scrittori e soprattutto scrittrici, anche meno noti, sono stati proposti in classi delle secondarie superiori e inferiori.

Le pagine che seguono sono il resoconto di alcune conversazioni: fra me e alcune delle insegnanti che nel tempo sono state più vicine all’Associazione, fra me e alcuni dei Piccoli maestri. Una scelta arbitraria, legata alla prossimità, alla frequentazione fresca per via di un recente lavoro comune, a una consuetudine maturata negli anni. L’indagine si muove in modo selvatico come il suo oggetto. Sarebbe facile immaginare che queste conversazioni siano avvenute attorno un grande tavolo ovale, magari in una scuola dalle pareti gialline o nel cortile di uno di noi, in realtà no, si tratta di conversazioni al telefono: sono le voci che mi ricordo, una dopo l’altra, ma non è difficile immaginarle parte di un discorso fatto insieme a tavola.

Anche la suggestione di cui in qualche modo si nutre l’intervento mi è giunta al telefono, dalla voce pacata e ridente di Vincenzo Schirripa[4]: Quale pedagogia sta a monte dei Piccoli maestri? Gli rispondevo: i Piccoli maestri vanno in aula, raccontano e leggono, non è detto che abbiano riferimenti pedagogici, magari qualcuno sì, qualche altro no. L’ho sentito sorridere: Cerchiamo allora una pedagogia segreta. E se la narrazione fosse un’antipedagogia[5]? Così nasce questa indagine, con due obiettivi: spiare cosa c’è dietro l’impegno nelle scuole dei Piccoli maestri, quale idea del rapporto pedagogico, della relazione fra le generazioni, ha fatto sì che questi scrittori e queste scrittrici sentissero la necessità e la voglia di entrare a scuola; scoprire che cosa pensa di portare in dote lo scrittore, la scrittrice, quando arriva in classe con un libro.

Ma prima di seguire la suggestione di Vincenzo fino alle persone dei Piccoli maestri, mi sembra utile farci un’idea dell’effetto che possono ottenere andando in aula o affacciandosi da una finestrella Meet o Zoom.

Sguardi di insegnanti sui Piccoli maestri

La prima che contatto è Delia D’Onofrio, un’amica storica dell’Associazione, insegna in una secondaria di primo grado, l’Istituto Comprensivo Giovanni Falcone di Grottaferrata (Roma), la conosco da tempo perché più volte ho incontrato i suoi studenti di persona. Le ho chiesto di raccontarmi un incontro con i Piccoli maestri.

Il 3 maggio in Dad una terza ha incontrato Federica Tuzi[6] che ha letto e raccontato un libro di Bukowski. È una classe con molte difficoltà, molti ragazzi e ragazze hanno alle spalle questioni familiari molto dure. Ho scelto Federica per la sua sensibilità e per le sue capacità di relazione, per la sua attenzione alla biografia delle persone, su consiglio di Federico Cerminara[7]. Federica ha indicato il romanzo di formazione Panino al prosciutto[8]. La Dad non è stata di ostacolo, anzi, forse di aiuto: è stato un incontro intimo, in cui i ragazzi hanno potuto fare confronti e esprimersi, si sono sentiti ascoltati. Ora in quella classe alcuni di loro leggono i libri di Bukowski. Con la Dad i Piccoli maestri sono stati una consolazione. Oltre a Federica Tuzi è venuta Maria Antonietta Ferraloro, a raccontare Il Gattopardo. La nostra scuola integra gli incontri con i Piccoli maestri nel Piano formativo. Per prepararli parlo ai ragazzi dell’Associazione, del fatto che i Piccoli maestri vengono come lettori appassionati di libri non loro. Non parlo del libro prima dell’incontro, voglio che imparino a conoscerlo dalla voce degli scrittori. La presenza dei Piccoli maestri serve molto anche alle insegnanti per la loro formazione, stimola gli interventi, fornisce suggerimenti di lettura, guida. A volte dopo gli incontri faccio scrivere qualcosa ai ragazzi. Dopo gli incontri in presenza sull’Odissea e sull’Eneide con te abbiamo lavorato sul tema dell’accoglienza. Sia in presenza che in Dad voi Piccoli maestri date tanto anche ai docenti. La ragione per cui i Piccoli maestri risultano una risorsa è il fatto che non si pongono come docenti, il fatto che vengono da fuori. È molto importante che i ragazzi incontrino qualcuno che non è lì per valutarli: cambia il rapporto ed emergono spazi nuovi di espressione. C’è poi l’emozione dell’incontro con lo scrittore. L’intervento a scuola di figure così, che vengono da fuori e che sono al di fuori della logica valutativa, è utile anche contro la dispersione scolastica.

Alessia Barbagli, la seconda docente che ho contattato, insegna in una secondaria di primo grado, all’Istituto Comprensivo Padre Semeria di Roma, una scuola che ha una sede incredibile, sta a Roma, a San Paolo, ma si presenta come una verdissima collina con un boschetto al suo interno, ci sono anche gli edifici scolastici, in effetti, ma dislocati fra gli alberi. Conosco molto bene anche lei per via di un incontro in cui ho raccontato l’Eneide a un cerchio enorme di ragazzi e ragazze. Nel 2021 i ragazzi e le ragazze allievi di Alessia hanno pubblicato un libro di racconti sulla vita ai tempi del Covid (Barbagli, 2021).

La proposta di Piccoli maestri – racconta Alessia – mi è sembrata un’occasione importante perché alunni e alunne potessero sentir raccontare i libri da una voce diversa da quella a cui sono abituati, cioè da quella dell’insegnante. Credo che ognuno abbia un modo diverso di appassionarsi alla lettura e di stare dentro l’immaginario che i libri contengono, in particolare penso che scrittori e scrittrici nel raccontare un libro propongano inevitabilmente un coinvolgimento che è originale e unico proprio perché hanno vissuto in prima persona l’atto della narrazione, quindi gli incontri rappresentano un’occasione di confronto preziosa per i ragazzi e le ragazze e che aiuta a dar loro l’idea delle molteplici strade che portano al mondo della letteratura e della narrazione e anche dei molteplici mondi che ogni libro racchiude. In presenza, abbiamo fatto un incontro soltanto, ma è stato molto bello ed efficace, avevamo già studiato a grandi linee la composizione dell’Eneide e la sua storia, il racconto che poi Carola ne ha fatto quando ci siamo visti è servito a coglierne il senso: i commenti che i ragazzi e le ragazze hanno fatto dopo erano: ‘mi sembrava di ascoltare qualcuno che fosse dentro le vicende e che portasse dentro anche noi’. Per quel che riguarda gli incontri in Dad posso raccontare quello con Giulia Caminito[9]. In una serie di mail scambiate con Giulia e Federico, Giulia si era offerta di presentare un libro non presente in elenco, un libro di Laura Orvieto[10]. L’incontro è stato molto bello, i ragazzi e le ragazze erano profondamente coinvolti, considerando che la Dad crea più difficoltà di attenzione e concentrazione. Ne hanno parlato, poi, come uno dei momenti più appassionanti del periodo del lockdown. Dei Piccoli maestri ho apprezzato tantissimo la cura della presentazione, la disponibilità degli autori e delle autrici e ovviamente la capacità di coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze nello stesso modo in presenza e in Dad.

Delia e Alessia Sono insegnanti della scuola secondaria di primo grado. Ci tenevo ad interloquire almeno con un’insegnante delle superiori. Anche Silvia Vitucci che insegna al liceo Nomentano di Roma è una vecchia amica dei Piccoli maestri.

Gli incontri con i Piccoli maestri di quest’anno sono stati tutti on line, uno con Elisabetta Liguori su Lolita di Nabokov, uno con Girolamo Grammatico su Il fu Mattia Pascal di Pirandello, uno con Elena Stancanelli sull’Isola di Arturo di Elsa Morante. Domani ne avrò uno con Vins Gallico su La frontiera di Alessandro Leogrande. La motivazione è sempre la stessa: la necessità di confrontarsi con quanto di bello c’è fuori dalle mura scolastiche. In Dad il desiderio si è solo acuito. Gli incontri con i Piccoli maestri concorrono a sviluppare e promuovere competenze fondamentali, come la capacità di interpretazione di un testo. Mi interessa poco se i testi scelti appartengono al cosiddetto programma di italiano (i programmi in senso stretto non esistono più anche se noi docenti ce ne dimentichiamo); Lolita è fuori programma, L’isola di Arturo o Il Fu mattia Pascal si studiano in genere in quinto, mentre io li ho proposti in quarto. Girolamo Grammatico in Dad ha raccontato le ragioni della scelta di quel libro, il proprio sguardo su Il fu Mattia Pascal di Pirandello, soffermandosi sulla trappola dei doveri che ingabbia Mattia. Ha poi proposto un esercizio: ognuno doveva mettere su carta un dovere da cui si sente affaticato, poi il verbo ‘devo’ è stato sostituito dal verbo “scelgo” e ci si è ragionato su. In DAD è stato più difficile intervenire per molti studenti, il dialogo è più difficile da costruire. I ragazzi si sentono quasi l’obbligo di preparare bene l’intervento. Ne fanno di meno, ma la qualità degli interventi sale.

Delia, Alessia e Silvia hanno individuato tutte e tre fra le ragioni dell’importanza della presenza in classe o in Dad dei Piccoli maestri alcuni elementi che riecheggiano i temi dell’antipedagogia di De Bartolomeis, il fatto che i Piccoli maestri siano ospiti che vengono da fuori dalla scuola rompendo l’autarchia del lavoro in classe; il fatto che si pongano del tutto al di fuori dalla logica valutativa; il fatto infine che abbiano con la letteratura un rapporto creativo, che siano artisti, che spostino così implicitamente la prospettiva sul fare. Le insegnanti con cui ho parlato hanno un’alta consapevolezza pedagogica, sono i soggetti pedagogicamente attivi del rapporto con la classe e con i Piccoli maestri, scelgono di portare in classe i Piccoli maestri e sanno perché lo fanno.

Ma i Piccoli maestri sanno quello che fanno?

Seguendo la suggestione di Vincenzo Schirripa, mi muoverò fra le voci di alcuni di loro, provando a individuare quale idea pedagogica inespressa tenga insieme il lavoro dei Piccoli maestri e se ce ne sia una.

Conversazioni al telefono con i Piccoli maestri alla ricerca della loro pedagogia implicita

Il primo Piccolo maestro con cui ho parlato, Emiliano Sbaraglia, ha come sua particolarità di essere anche un docente della secondaria di primo grado, insegna a Tor Bella Monaca, all’Istituto Comprensivo Melissa Bassi di via dell’Archeologia. È redattore culturale presso http://collettiva.it e conduttore radiofonico di Radio Articolo 1. Ho domandato a Emiliano cos’è per lui insegnare, se il fatto di essere un insegnante gioca il suo ruolo anche quando entra in classe come Piccolo maestro, se ci sono maestri e autori che sente vicini quando racconta i libri.

Da otto anni ‒ mi racconta ‒ ho deciso di insegnare alle medie. Come Piccolo maestro, alle medie e alle superiori, racconto Italo Calvino. Mi sono come specializzato in Calvino. Il libro che porto più spesso è Se una notte d’inverno un viaggiatore. Faccio una lezione a tutto tondo su Calvino, raccontando anche la sua biografia e come la sua biografia si intrecci con la mia esperienza. Nel 2015 sono andato a Cuba a seguire il rientro dell’Ambasciata. Sono stato a Santiago de las Vegas e in altri luoghi calviniani. Così ai ragazzi racconto di questo mio viaggio, è una cosa che colpisce. Leggo le Lezioni americane, parto dai titoli, che hanno tutti a che fare con i ragazzi di oggi. Non vado solo a fondo. Ragiono anche in superficie: di rapidità, di molteplicità, a partire dal libro di Calvino. Il mio modo di lavorare è maturato nel corso degli anni. Nei primi anni di insegnamento pensavo di avere un metodo che funzionava. Nel corso del tempo, insegnando a Tor Bella Monaca mi sono reso conto che non esiste il “metodo”, esistono ‘i metodi’. È essenziale, entrando in classe, mettersi in ascolto. Conoscere le persone che hai davanti. Vent’anni fa l’insegnamento era ancora in buona parte strutturato in modo classico, ora molto meno, la lezione è più dinamica, ti viene anche chiesto di renderla ricca. Io faccio parte della redazione di un giornale, recentemente mi è capitato di sentire l’esigenza di concentrarmi sulla scuola, ho chiesto il tempo pieno, ma la preside mi ha detto che per la scuola il fatto che l’insegnante porti in classe un mondo di cose che vengono da fuori è un valore. Per quel che riguarda i miei punti di riferimento, molto importante per me è stato il fatto di ritrovarmi in mano quando incominciavo a insegnare Un anno a Pietralata di Albino Bernardini[11], anche Mario Lodi[12] è stato importante per me, come Pasolini che insegna alla scuola media e, certo, il Movimento di cooperazione educativa è stato essenziale[13]. In classe l’anno scorso ho fatto leggere Barre[14], che racconta di un laboratorio musicale all’interno di un carcere minorile. Provo a comunicare contenuti senza appesantire, mi faccio guidare dalle esigenze dei ragazzi. Ho anche fatto leggere un libro che è quasi un classico a scuola, Nel mare ci sono i coccodrilli.[15] E ogni anno faccio leggere due capitoli dei Promessi sposi. Quanto alla letteratura per ragazzi leggo Piumini[16], Calvino e Rodari[17]. Rodari lo introduco sempre più degli altri. Provo anche a utilizzarlo. Anche Mark Twain. Poi mi è capitato di parlare in classe di Alberto Manzi e del ruolo che ebbe all’epoca il suo programma televisivo, così da suscitare una riflessione sulla televisione, un confronto.

Roberto Carvelli, a differenza di Emiliano, non è un insegnante, è uno scrittore e un giornalista, autore di opere di narrativa, guide di viaggio e inchieste. Ha ideato e coordina il sito “Perdersi a Roma” che come si legge nel colophon: “propone dei percorsi romani e dei viaggetti fuori dalla città nello spirito della flânerie”. Roberto, come racconta, è stato insegnante per due anni, per il resto della sua vita ha fatto altre cose che riguardano molto i libri, e molto anche il camminare. Per raccontarmi cosa fa quando entra in classe da Piccolo maestro, ha cominciato da lontano, da quando andava a scuola lui, e in effetti è una prospettiva sensata.

La mia esperienza scolastica non è stata molto positiva, andavo al Cristo Re sulla Nomentana a via Cherusio. Non era una bella atmosfera. C’era un solo professore, Morselli si chiamava, come lo scrittore. Ci proponeva sedute di meditazione Zen, letture al di fuori dei manuali scolastici. Mi ha comunicato la passione per la lettura. È stata la passione della lettura che mi ha portato a completare il percorso scolastico, ad andare all’università. Ho insegnato solo due anni nella mia vita e se mi sono fatto un’idea che mi convince della scuola lo devo ai maestri di strada[18], a Un anno a Pietralata di Albino Bernardini. Mi colpivano questi maestri che stavano su un fronte diretto. A insegnare erano persone che mettevano in circolo le loro passioni. Ho insegnato a Zagarolo e a Colleferro. Quando insegnavo usavo molto l’antologia, un libro prezioso, anche se spesso è meglio fare da soli, producendo i propri materiali con fotocopie e altro. Come Piccolo maestro mi piace portare a scuola uno spirito come dire pacifista. Stare dalla stessa parte, rompere la linea di confine. Non avere paura di lasciare la cattedra. Quando entro in classe da Piccolo maestro comincio a leggere e a raccontare qualcosa della mia esperienza che possa servire, che sia utile alla lettura. Alle elementari leggo L’uomo che piantava gli alberi[19], leggo Rodari. Robert Walser, il racconto dell’esperienza della natura[20]. Pinocchio, il racconto della trasformazione, il viaggio dell’eroe, la vicenda umana. Tra gli autori che si sono occupati di pedagogia, sicuramente mi viene in mente Mario Lodi, ma anche Danilo Dolci[21]. E mi viene in mente Peter Bichsel[22] con i suoi libri Il lettore, il narrare; Ci sono al mondo più zie che lettori. L’Ignazio Silone di Fontamara, gli scrittori autodidatti.

Federico Cerminara non è uno scrittore. Nei Piccoli maestri è organizzatore e animatore, tiene le fila delle relazioni con le insegnanti, le scrittrici, gli scrittori. Fuori dall’associazione è project manager alla Sogetel SRL. Gestisce, come mi racconta, l’evoluzione di un certo numero di progetti, con particolare attenzione alla relazione con i clienti e con i giovani programmatori. Mi è sembrato utile chiedere anche a lui che è uno dei grandi motori dell’associazione e del nostro lavoro ha una visione d’insieme. Come Roberto, anche Federico per ragionare della pedagogia implicita dei Piccoli maestri ha sentito il bisogno di tornare alla sua esperienza scolastica.

Quando penso ai Piccoli maestri, penso alla necessità di portare il riscatto a scuola. Perché c’è differenza fra un compitino, un metodo o un sentimento. Si avverte quando da parte dell’insegnante c’è dispendio d’energia. Oggi mi piace leggere perché il mio professore del liceo si emozionava per Pirandello. Sapeva insegnare. I Piccoli maestri hanno qualcosa di importante da portare in classe. Un Piccolo maestro in aula racconta di qualcosa a cui tiene davvero, su cui ha speso energia e questo si sente. Se penso a delle personalità determinanti per la pedagogia penso a Montessori[23] o Don Milani[24]. I Piccoli maestri vanno nelle classi delle elementari e anche in quelle delle medie e delle superiori, è chiaro che nel raccontare e nel leggere ai ragazzi o ai bambini cambia il modo, cambiano i tempi, con i bambini magari è necessario un linguaggio più visivo. Se dovessi cambiare qualcosa, anche perché cambiare, crescere, è l’unico modo per non cristallizzarsi, mi piacerebbe che il Piccolo maestro entrasse in una classe più volte, che costruisse una continuità. Perché l’insegnamento ha bisogno di rapporti individuali che non si producono durante un solo incontro.

Elena Stancanelli, scrittrice e giornalista, è la fondatrice dei Piccoli maestri, l’intellettuale che ha immaginato la forma che l’associazione oggi ha, che le ha fornito quella particolare libertà che ne è la base. Le ho chiesto se per lei quello che facciamo come Piccoli maestri ha a che fare con l’insegnare. Le sue risposte, insieme a quelle di Maria Grazia Calandrone, sono quelle che più si discostano da un pensiero pacatamente pedagogico, che più si avvicinano all’idea di un’antipedagogia.

Non ho mai pensato a insegnare. Ho sempre pensato di poter dire il mio pensiero attraverso l’arte, il teatro, la scrittura. Piccoli maestri è nato perché ci fosse la possibilità di arrivare ai ragazzi al di fuori dell’idea delle materie scolastiche, per arrivare loro in un altro modo, parallelo. La scuola ti insegna il contesto, ti insegna la storia della letteratura, ed è fondamentale. Ma a quel modo manca l’afflato, quella cosa che non è storia, non è contesto, ma è irrazionalità. Per questa ragione ritengo cruciale leggere ad alta voce. Produrre un ‘vibrato’. In appoggio a chi insegna, non in contrasto. Entrare da artista per lasciare che venga fuori lo stridore, leggere un libro al momento sbagliato. In un tempo in cui si cerca di adattare all’età, alle esigenze, alle aspettative l’offerta di letture, di evitare scosse, io credo al contrario che per far capire che cos’è l’arte bisogna che l’arte arrivi al momento sbagliato, con violenza. A me la letteratura è arrivata così, al momento sbagliato. Se si rispettano le età, le aspettative, non si capisce cosa fa l’arte. La madre di mia madre mi regalò da bambina piccola le poesie di Toti Scialoja per imparare a leggere. Che stridevano, che non erano “per bambini”. Poi ho letto con passione anche Polly Anna, Piccole donne, Pinocchio, che essendo io fiorentina trovavo ancora perfettamente intellegibile, (forse la nostra è l’ultima generazione che ha potuto leggere Pinocchio senza esserne respinta). Cerco di fare questo: leggere e raccontare per opposto, per finzione, per seduzione, in un modo antisistematico, un modo alternativo e parallelo a quello dell’insegnamento.

Con Tommaso Giartosio, scrittore, poeta, conduttore radiofonico, ho parlato al telefono brevemente, vi riporto le sue considerazioni perché mi paiono di rilievo.

Quando entro in classe come Piccolo maestro per me la cosa più importante è catturare l’attenzione. Una cosa a cui tengo molto, soprattutto se il libro ci giunge ammantato dell’aura del capolavoro, è far sentire il momento aurorale, in cui l’autore ha deciso cosa e come scrivere: che personaggi mi invento? Dove ambiento l’azione? E se invece Renzo lo chiamassi Fermo? Cerco di mettere la ragazza o il ragazzo nella posizione dell’autore: tu cosa faresti? Cerco di rovesciare le letture consuete, per esempio faccio vedere il racconto dal punto di vista di un personaggio secondario, oppure scelgo libri che smontano l’idea stessa del narrare, come Jacques il fatalista. Provo anche a mettere in gioco e in discussione lo spazio dell’aula, con la sua gerarchia prestabilita. Se devo individuare un maestro, un punto di riferimento, penso a Rodari, ma non tanto il Rodari della Grammatica della fantasia, che insegna cose che mi sembra di sapere già (forse mi sono arrivate indirettamente da maestri che l’avevano letto!), quanto Rodari quando commuove, come nelle Favole al telefono. È bello quando i ragazzi mostrano una partecipazione affettiva al racconto, ma il massimo è quando si emozionano per il lavoro di chi scrive: certo non è facile, occorre accettare di “mostrare la pancia”.

Maria Grazia Calandrone, poeta, scrittrice, conduttrice radiofonica, racconta di come porta la poesia in classe costruendo uno spazio laboratoriale. In un modo diverso da quello di Elena Stancanelli, anche il suo lavoro ha a che fare con l’irrompere antipedagogico dell’arte.

Non insegno. Li faccio suonare. Adopero i corpi e le voci e li faccio leggere in coro, senza giudizio. Raccolgo tutto quello che dicono. Che risuonino. Faccio laboratori. Imparo moltissimo da loro. Anche quando lavoro sulla prosa, non contestualizzo. Produco una immersione totale nel testo. Certo, se serve, può venire fuori anche il contesto. Come Piccola maestra leggo Il giovane Holden. Portiamo nella scuola un po’ di coraggio. Anche le insegnanti si mettono in ascolto. Portiamo il coraggio di fare come ci pare. Ho inventato questo metodo con i malati di Alzheimer. Ti dà voglia di approfondire da un altro punto di vista. Porto un testo da fare esplodere. Con i bambini o con i ragazzi del liceo l’esperienza è completamente diversa. I ragazzi del liceo hanno necessità di mostrare che sanno, si esibiscono, sono contestatori. Con loro il dialogo è molto più formale, si dibatte di poesia e di trap. Molti di loro vogliono scrivere. I bambini delle elementari giocano. Dalla quarta elementare fino alla prima media, è divertimento puro. In digitale, le insegnanti (mai incontrato un insegnante) mi hanno detto che alcuni bambini sono riusciti a esprimersi, si sentivano più a loro agio, ma in classe li faccio anche muovere, in digitale non è la stessa cosa. I bambini ti abbracciano. I bambini scrivono anche, ciascuno dei bambini viene da me a leggere. In una classe è venuto da me un bambino, stava nascosto dietro il quaderno, e parlava a sé stesso attraverso la poesia con la voce del padre morto un mese prima. C’era silenzio e poi lo hanno abbracciato tutti. Nel suo caso la poesia è stata un canale immediato. Non lo poteva dire che con la poesia. La poesia è il canale. La mia presenza in classe funziona perché con la poesia ho confidenza, l’abitudine con la poesia fa la differenza. Se devo pensare a un maestro penso ad Antonio Porta[25] che aveva elaborato un metodo, faceva ritagliare le parole. L’ho usato anch’io all’inizio. Ha fatto anche scrivere per bambini poeti già famosi. Il suo esempio mi ha incoraggiato nell’ambito scolastico. E poi Pasolini, maestro di tutto. Mi incoraggia a esistere con aderenza alle cose.

Federica Tuzi è l’ultima che ho interrogato, l’ha citata Delia D’Onofrio, ha portato Bukowski in terza media. Con lei torniamo all’imparentamento o comunque a un nutrimento reciproco fra il lavoro dell’insegnante e quello che i Piccoli maestri fanno in aula, senza perdere la libertà che la presenza di una persona che scrive e che racconta un libro che ama si porta dietro.

Sono una Piccola maestra, ma insegno anche fuori, in maniera sempre più strutturata, alla NABA insegno Narratologia. Penso a come insegnare. Paradossalmente il fatto di sapere che sto insegnando mi porta a pensare a una struttura partecipata. Cerco di abbattere la quarta parete. Le insegnanti mi ringraziano non tanto per quello che dico quanto per la partecipazione. Mi interessa la realtà delle persone che ho di fronte. Uno dei libri che porto è Il giovane Holden. Cerco di fargli capire l’impatto che ha avuto il libro quando è uscito. Ho riscritto l’incipit con i loro termini, cringe etc, hanno riso molto. Secondo me è suonata così: letteratura/non letteratura. Come Piccoli maestri mettiamo in comune, ‘passiamo’, un libro che ci ha fatto ragionare su un tema e su uno stile. Mi presento come scrittrice ma non parlo della mia scrittura. L’effetto della nostra presenza di Piccoli maestri è quello di creare lo spazio perché di certe cose si possa parlare. Quello che passo io è che in questi libri c’è spazio per un sacco di cose. Leggo delle pagine e gli chiedo cosa ci vedono dentro. Li fermo. Gli chiedo: vi risuona. Gli dico: Ferma e apri. Cerco di farceli arrivare. Riesco a intuire la persona che ho davanti. Cerco anche di leggerli. Loro si stupiscono. È un metodo che mi sono formata vivendo. Se devo pensare da dove mi viene dico Socrate, la maieutica. La prima volta che ho insegnato, ci tenevo molto a fare belle conferenze. Nel tempo, mi sembra più interessante quando possa attraversare l’intelligenza altrui. Porto gli studenti a fare lezione. Li rinforzo. Cerco un senso di agorà. L’ho imparato dalle scene scolastiche dei film americani e francesi, dove si spinge a dibattere, è un metodo che si intreccia con il mio modo di vivere. Non mi interessano le opinioni, ma un posto dove insieme ci interroghiamo. Faccio capire che ce l’ho, faccio sentire: mi fido di te. Fra gli autori che mi ritrovo vicini c’è Rodari, uso La grammatica della fantasia. Ma anche Calvino, le Lezioni americane, le Cosmicomiche. Ma mi aiutano anche i maestri spirituali, Jodorowsky[26], Krishnamurti[27]”. Qualche ora dopo la conversazione telefonica, mi ritrovo sul cellulare un messaggio: “È stato importante per me Il diario di un maestro, il film di Vittorio De Seta tratto da Un anno a Pietralata.

Insomma, la pedagogia segreta dei Piccoli maestri si rivela facilmente, quasi tutti citano Rodari, quasi tutti citano, in una forma o nell’altra, Un anno a Pietralata. Se una consapevolezza pedagogica piena emerge dalle parole di Emiliano Sbaraglia, che non a caso è un insegnante, l’approccio di Roberto Carvelli non è poi tanto diverso, ma anche le parole di Federica Tuzi o di Federico Cerminara o quelle di Tommaso Giartosio che cerca la voce giusta per parlare con i ragazzi e le ragazze e la trova pensando al ragazzo che era, condividono un’aria di famiglia: si rompe la quarta parete, si lavora maieuticamente, si mette in scena una esperienza, si ha attenzione per il mondo di coloro che ci si trova di fronte, per quello che passa attraverso la loro intelligenza. Torna molto Calvino, torna, molto spesso, Pasolini. Le fonti solo in parte sono quelle che ti aspetti, Federica Tuzi, ad esempio, approda a una consapevolezza pedagogica, per strade libere e ispirazioni profondamente sue; l’esito poi è quello: dare la parola, suscitare partecipazione, creare uno spazio comune ampio. Due esigenze vengono fuori con chiarezza, come due polarità, da un lato quella di rompere la barriera, di scendere dalla cattedra, di dare la parola, dall’altra quella di portare in classe un’esperienza d’arte, stridente, irrazionale, rivoltante, “vibrata”. Elena Stancanelli e Maria Grazia Calandrone sono fra le voci che abbiamo ascoltato quelle più “antipedagogiche”, che pensano all’intervento da Piccoli maestri come qualcosa di esplosivo, di altro, rispetto a quello che avviene normalmente nelle aule scolastiche, un’esperienza dell’arte. Fare esperienza dell’arte, per Elena Stancanelli, significa piombare in classe portando un’azione che trascina, stride, è fuori tempo e luogo, e perciò infastidisce, incanta e seduce. Maria Grazia Calandrone con la poesia coinvolge anche i bambini e le bambine nel gioco dell’arte (come dice lei: li faccio suonare). Sono voci diverse, queste dei Piccoli maestri che mi hanno parlato al telefono, ma si richiamano fra loro. Sembra che nei Piccoli maestri, negli scrittori e nelle scrittrici che ne fanno parte, la riflessione pedagogica degli anni cinquanta, sessanta e settanta ci sia, non troppo segreta, qui in forma più meditata e consapevole, qui come intuizione che cerca le sue fonti e le trova a suo modo (di fronte agli stessi problemi, riscopro gli stessi mezzi) ed è innovativa e vitale, qui ancora come sedimentazione di qualcosa conosciuto fin dall’infanzia che riaffiora, qui infine come consapevolezza che la scuola non si basta che ha bisogno dell’irruzione dell’arte, che più di tutto quando arriva scuote e scombina.

Bibliografia

Barbagli A. (a cura di), Scrivere per resistere. Il Decameron ai tempi del Covid, L’Asino d’oro, Roma 2021.
Bernardini A., Un anno a Pietralata, La Nuova Italia, Firenze 1968.
Boero P. e Roghi V.  (a cura di), Rodari A-Z, Electa, Milano 2020.
De Bartolomeis F., Introduzione alla didattica della scuola attiva, La Nuova Italia, Firenze 1953.
De Bartolomeis F., La pedagogia come scienza, La Nuova Italia, Firenze 1953.
De Bartolomeis F., Il bambino dai tre ai sei anni e la nuova scuola infantile, La Nuova Italia, Firenze 1968.
De Bartolomeis F., La ricerca come antipedagogia, Feltrinelli, Milano 1969.
De Marchi V., II maestri di strada, Einaudi ragazzi, San Dorligo della Valle 2018.
De Stefano C., Il bambino è il maestro. Vita di Maria Montessori, Rizzoli, Milano 2020.
Lodi M., Cipì, Einaudi, Torino 1972.
Lodi M., 
Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica, Einaudi, Torino 1970.
Porta e Raboni G. (a cura di), Pin Pidìn, Feltrinelli, Milano 1978.
Roghi V., Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, Laterza, Roma Bari 2020.
Roghi V., 
La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Laterza, Roma Bari 2017.
Roghi V., Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, Laterza, Roma Bari 2022.

Note

[1]  Fondata nel 2002 dall’educatrice Nínive Calegari e dall’autore Dave Eggers, 826 Valencia prende il nome dal suo indirizzo, nel Mission District di San Francisco. L’associazione ha come obiettivo sostenere gli insegnanti e creare occasioni di incontro fra ragazzi e adulti che hanno voglia di aiutarli a imparare.

[2]  Il Ministero delle Storie, nato nel 2010 a Londra, è una scuola di scrittura fondata dall’autore inglese Nick Hornby insieme agli impresari d’arte Ben Payne e Lucy Macnab. La scuola è nata con l’obiettivo di avvicinare bambini e ragazzi alla scrittura.

[3] L’intero intervento di Elena Stancanelli potete trovarlo qui: https://generazionetq.wordpress.com/2011/08/05/progetto-piccoli-maestri/

[4]  Vincenzo Schirripa insegna Storia dell’educazione e Letteratura per l’infanzia nella sede LUMSA di Palermo.

[5]  L’antipedagogia – da un libro di Francesco De Bartolomeis, La ricerca come antipedagogia, pubblicato da Feltrinelli nel 1969 – pensa all’esperienza della ricerca come al luogo dell’apprendimento, a una scuola in continua relazione con il mondo, che considera e mette in gioco nel rapporto educativo quello che gli studenti apprendono al di là dai confini delle classi, che usa strumenti e materiali che vengono da dovunque serva, che si dà spesso una forma laboratoriale. Francesco De Bartolomeis (nato a Pellezzano, Salerno, nel 1918), docente di pedagogia nell’Università di Torino dal 1956 al 1988 (un gruppo di studio su Célestin Freinet avviato nella sua cattedra porta alla nascita della sezione torinese del Movimento di cooperazione educativa), è uno dei grandi e numerosi maestri della ricerca pedagogica in Italia. Tra le sue opere: Introduzione alla didattica della scuola attiva (1953); La pedagogia come scienza (1953); Il bambino dai tre ai sei anni e la nuova scuola infantile (1968); La ricerca come antipedagogia (1969). Nel 2020 è stato intervistato da Christian Raimo per “Internazionale”, l’intervista si trova qui: https://www.internazionale.it/reportage/christian-raimo/2020/02/01/francesco-de-bartolomeis.

[6]  Federica Tuzi, nata nel Michigan (USA), è scrittrice di romanzi, autrice di programmi televisivi, sceneggiatrice, regista, scrive e traduce libri per bambini, è speaker radiofonica, sceneggiatrice, performer, dal 2021 insegna Narratologia alla NABA di Roma.

[7]   Federico Cerminara, segretario dei Piccoli maestri, organizzatore e ispiratore di tante delle scelte importanti dell’associazione.

[8]  Ch. Bukowski, Panino al prosciutto, tradotto da Simona Viciani, Guanda, Parma 2006.

[9] Giulia Caminito, nata a Roma nel 1988, è laureata in filosofia politica. Scrittrice, direttrice editoriale per la casa editrice Perrone, ha pubblicato libri per grandi e per bambini. Con il suo terzo romanzo, L’acqua del lago non è mai dolce, ha vinto il Premio Campiello. È la curatrice del Festival Under, promosso dall’Associazione Da Sud, che porta giovani autori nelle scuole.

[10]  Laura Orvieto è nata a Milano nel 1876, è stata una scrittrice per l’infanzia. Tra gli altri libri, nel 1911 ha pubblicato le Storie della storia del mondo, miti greci e romani raccontati ai ragazzi e alle ragazze, che ha avuto un enorme successo in Italia e all’estero. I suoi libri sono ancora ristampati e letti.

[11] Un anno a Pietralata di Albino Bernardini (1968), un libro di grandissimo impatto, in cui si raccontano i bambini della borgata romana e le tecniche d’insegnamento pensate con loro, dal libro fu tratto Diario di un maestro, sceneggiato televisivo per la regia di Vittorio De Seta. Albino Bernardini dagli anni Cinquanta fa parte del Movimento di cooperazione educativa.

[12] Mario Lodi (Piadena 1922 – Drizzona 2014), si celebra quest’anno il centenario dalla sua nascita, scrisse per bambini e con i bambini, fu un maestro e un pedagogista. Fece parte del Movimento di cooperazione educativa. Fra  i suoi libri, letti e usati a scuola e fuori dalla scuola, Cipì, scritto da Lodi insieme ai suoi alunni (Einaudi, 1972), Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica (Einaudi, 1970). È appena uscito per Laterza il libro di Vanessa Roghi, Il passero coraggioso, Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica.

[13]  Il Movimento di cooperazione educativa, che ritorna spesso fra le nostre pagine, nasce il 4 novembre 1951 a Fano nell’abitazione della maestra Anna Marcucci Fantini, ne hanno fatto parte insegnanti e pedagogisti, che condividevano la metodologia della Pedagogia popolare di Célestin Freinet. Il Movimento di cooperazione educativa è ancora vivace e attivo.

[14]  Francesco “Kento” Carlo, Barre, Minimum fax, Roma 2021.

[15]  F. Geda, E. Akbari, Nel mare ci sono i coccodrilli, Baldini & Castoldi, Milano 2017.

[16] Roberto Piumini, nato nel 1947, è uno dei più noti fra gli scrittori per ragazzi e ragazze, è tra gli autori della trasmissione RAI L’Albero Azzurro. Insegnante, pedagogista, sceneggiatore, poeta, conduce gruppi espressivi.

[17] Gianni Rodari (Omegna 1920 – Roma 1980), il più noto autore contemporaneo italiano per l’infanzia, poeta, scrittore, pedagogista, giornalista, su di lui sono usciti di recente molti volumi, cito qui, di Vanessa Roghi, Lezioni di fantastica, (Laterza, 2020) e Rodari A-Z a cura di Pino Boero e Vanessa Roghi (Electa, 2021)

[18]  Maestri di Strada è un’associazione napoletana di educatori e insegnanti che ha come scopo combattere la dispersione scolastica. Ne fanno parte fra gli altri Marco Rossi Doria e Cesare Moreno. L’esperienza è raccontata anche in un libro per ragazze e ragazzi, scritto da Vichi De Marchi, I maestri di strada (Einaudi ragazzi, 2018).

[19] J. Giono, L’uomo che piantava gli alberi (1953, Salani, Milano 2020, trad. Luisa Spagnol).

[20] Robert Walser (Biel 1878 – Herisau 1956), poeta e scrittore, svizzero di lingua tedesca, narratore dell’esplorazione della città, amante del camminare, maestro della forma breve.

[21] Danilo Dolci (Sesana 1924 – Partinico 1997). Poeta, sociologo, animatore sociale, educatore, attivista della non-violenza, elabora un metodo educativo che chiama maieutica reciproca.

[22] Peter Bichsel, scrittore svizzero di lingua tedesca (nato a Lucerna nel 1935). Autore di narrazioni spesso brevi, racconta il quotidiano con una vena di paradossalità, scrive per grandi e per bambini e bambine. Tra i suoi libri: Schulmeisterein (1985; trad. it. Al mondo ci sono più zie che lettori, Marcos y Marcos, Milano 1989, trad. Chiara Allegra).

[23] Maria Montessori (Chiaravalle 1870 – Noordwijk, Paesi Bassi 1952) nella sua vita svolse attività di educatrice, pedagogista, medico, neuropsichiatra infantile. Molto nota per il metodo educativo che porta il suo nome, orientato allo sviluppo dell’autonomia dei bambini e delle bambine. Su di lei è uscita di recente la biografia di Cristina De Stefano, Il bambino è il maestro. Vita di Maria Montessori (Rizzoli, 2020).

[24] Don Lorenzo Milani (Firenze 1923– ivi 1967). Dal 1954 a Barbiana, si dedicò a insegnare ai ragazzi del paese. La Lettera a una professoressa (1967) redatta in collaborazione con gli allievi della scuola di Barbiana è ancora oggi presente nel dibattito sulla scuola. Sulla Lettera e su Don Milani rimando a Vanessa Roghi, 2017.

[25]  Antonio Porta (Vicenza 1935 – Roma  1989). Nel 1961 ha contribuito alla formazione de I novissimi, poesie per gli anni ’60. Redattore de “Il Verri” e di “Malebolge”, è stato tra i fondatori di “Quindici”. Ha partecipato ai lavori del Gruppo 63 e si è anche occupato di poesia visuale. Nel 1978 con Giovanni Raboni ha curato Pin Pidìn, antologia di poesie per bambini di nomi grandi della poesia contemporanea, da Nanni Balestrini a Maurizio Cucchi, da Milo De Angelis, a Nico Orengo, da Edoardo Sanguineti a Toti Scialoja. Nel 1982 ha pubblicato Emilio (Emme), poemetto per fanciulli, con illustrazioni di Altan. 

[26]  Alejandro Jodorowsky (Cile, 1929) è artista eclettico, direttore di teatro, autore di pièce teatrali, romanzi e libri di fumetti e film. Feltrinelli ha pubblicato in Italia molti suoi libri, tra i quali: Quando Teresa si arrabbiò con Dio (1996, 2013), Psicomagia. Cabaret mistico (2008), Il maestro e le maghe (2010), Metagenealogia (2012) e, nella collana digitale Zoom, Corso accelerato di creatività (2012), Manuale pratico di psicomagia (2018).

[27]  Jiddu Krishnamurti (Madanapalle, Madras 1895 – Ojai, California 1986) è un filosofo apolide di origine indiana, si formò in ambito teosofico ma finì per uscire dalla società teosofica e per sciogliere l’Ordine della stella, nel quale aveva un ruolo apicale nell’idea che nessuna fede organizzata potesse gestire la spiritualità per sua natura intima e personale Tra i suoi scritti: La ricerca (s. d.); Il sentiero (1924); La fonte della saggezza (1928); La vita liberata (1929); La via della vita (1949); L’educazione e il significato della vita (1958).

Carola Susani è nata nel 1965. Ha pubblicato romanzi e libri di racconti, fra gli altri: Il libro di Teresa (Giunti 1995 – Premio Bagutta Opera Prima), Eravamo bambini abbastanza (Minimum fax, 2012 – Premio Lo Straniero). Per ragazzi, fra gli altri: Cola Pesce (Feltrinelli, 2004), Miti romani, con le illustrazioni di Rita Petruccioli (Nuova frontiera Junior 2013), Esplorazione con Alessandra Lazzarin (Orecchio acerbo 2022). Dal 2001 conduce laboratori di scrittura narrativa e di educazione alla lettura. Fa parte dell’associazione Piccoli maestri.