Pedagogia e nuove professionalità nell’educazione museale | Pedagogy and New Professional Roles in Museum Education

Archeocamp al Museo archeologico di Francavilla di Sicilia, 2025, a cura dell'associazione Dracma Ets. Foto dell'autrice.

L’educazione museale vive da tempo una stagione in cui si allarga la platea di quanti sono disponibili a discuterne i saperi del mestiere, le prospettive di professionalizzazione e l’evoluzione del rapporto fra il pubblico e i musei. Ne è in qualche misura testimonianza un agile lavoro di Martina Ercolano, Educazione museale. Questioni pedagogiche e formazione di nuove professionalità (Ets, Pisa 2024). Pubblicato nella collana Scienze dell’educazione diretta da Simonetta Ulivieri, il libro sintetizza alcune questioni chiave e si presta ad essere usato quasi come un manuale da una platea eterogenea di pedagogisti, educatori, insegnanti e studenti e lettori comunque interessati alle pratiche educative nei musei e, in generale, nei luoghi di cultura. Luoghi che, per la loro specificità, richiedono la presenza interdisciplinare sinergica e collaborativa di professionisti dell’educazione e qualificati esperti in ambito museale e artistico.

Ercolano, ricercatrice di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Suor Orsola Benincasa, utilizza un linguaggio asciutto e tecnico per esplorare e approfondire nel primo capitolo aspetti connessi al museo: la sua storia (dalle prime raccolte alla contemporaneità), la sua vocazione e il ruolo attivo e centrale nella società educante contemporanea; nel secondo capitolo un aspetto indubbiamente attuale come il lavoro e le professionalità educative nei musei; nel terzo, una aggiornata disamina sull’educazione al museo tra esperienze e linguaggi plurali come le nuove tecnologie digitali per una diversa fruizione del patrimonio. Viene offerto così un quadro della materia, articolando i concetti chiave attraverso un’analisi che spazia dai riferimenti storici e teorici, alle prospettive pedagogiche, alle pratiche educative e delle professioni museali, a un inquadramento completo e sfaccettato dell’istituzione museale.

Il primo capitolo è dedicato al museo, secondo l’ultima definizione dell’International Council of Museums (ICOM):

un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze.

Emanata a Praga nel 2022, la definizione aggiorna e amplia quella del 2007, concentrandosi sul rapporto etico tra museo e società in continua e repentina evoluzione. Emerge con chiarezza l’accento posto sui concetti di “accessibilità, inclusione e sostenibilità” e la vocazione del Museo odierno visto non soltanto come spazio dell’oggetto artistico ma come laboratorio culturale aperto.

L’excursus storico illustrato si configura come un viaggio nel tempo che dalla nascita delle prime collezioni private, passando per lo studiolo rinascimentale, alle originali camere delle meraviglie, le Wunderkammer, approda al museo contemporaneo che coinvolge “un pubblico sempre più ampio e interessato” (p. 43). Non si può pensare al museo contemporaneo, o del futuro, senza dare spazio alla rivoluzione digitale che, negli ultimi anni, ha contribuito a modificare in maniera sostanziale il sottile, ma consolidato, rapporto che intercorre tra l’opera d’arte e il fruitore. Questo argomento, in parte scandagliato nel libro, è indispensabile per comprendere quale potrebbe essere lo scenario dell’educazione museale del futuro.

Negli ultimi decenni, la progettazione di applicazioni digitali, già sperimentata nei videogames, è utilizzata anche in campo educativo e nella fruizione dei beni culturali. Il digitale rappresenta un mezzo innovativo per la didattica poiché grazie alla progettazione di un ambiente è possibile coinvolgere attivamente il fruitore e facilitare l’apprendimento attraverso esperienze interattive (Guerra Tamez, 2023; Invitto, 2013).

Presupposti per la sperimentazione del digitale sono svariate ricerche delle neuroscienze cognitive sulla percezione visiva e sull’attivazione neurale durante l’esperienza estetica, unitamente alle più recenti esperienze informatiche e digitali. Questi studi hanno notevolmente modificato il rapporto con l’arte, infatti, le evidenze emerse negli ultimi decenni – come la scoperta dei neuroni specchio e gli approfondimenti teorici sull’embodied cognition e sull’embodied simulation, intesi come attivazioni di meccanismi incarnati in grado di simulare azioni, sensazioni ed emozioni corporee – hanno messo in luce l’esistenza di un legame profondo, che trascende l’osservazione visiva e coinvolge tutto il corpo. Questo rapporto già coinvolgente negli ambienti museali, grazie all’osservazione diretta dell’opera, può divenire inclusivo e fare provare emozioni intense anche tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, basate su studi estetici, artistici, informatici e cognitivi come nella progettazione di spazi per la realtà aumentata e per la realtà virtuale.

Se è opportuno specificare le potenzialità delle nuove tecnologie, evidenziandone il ruolo didattico, formativo e comunicativo, è quasi irrisorio sottolineare che osservare un’opera in virtual reality (VR) o augmented reality (AR) non sostituisce la visita, o comunque la presenza fisica, al museo. Il digitale, accelerando la concezione di museo come laboratorio tecnologico, innovativo e multidisciplinare, aperto al territorio, potrebbe rivelarsi un momento formativo utile per migliorare l’esperienza complessiva dal punto di vista del coinvolgimento, dell’emozione corporea e dell’accessibilità.

Il museo, oggi, secondo una prospettiva sistemica, ecologica e sostenibile, si configura come un organismo culturale, un sistema produttivo, un’istituzione sociale che diviene mezzo di cultura e che richiede un costante mutamento d’immagine – anche in virtù delle relazioni con le città e il territorio – per garantire opportunità di apprendimento. Il museo è contenitore e contenuto: occasione di conoscenza critica e diretta dell’oggetto culturale, ambiente ideale e privilegiato per l’esperienza estetica, centro di documentazione e di studio, “luogo deputato allo sviluppo dell’apprendimento” (p. 65) e “spazio attivo di promozione/produzione culturale” (p. 66). Nell’ottica del “museo per tutti”, e considerata la cittadinanza attiva e democratica, la divulgazione dell’arte e la conoscenza che deriva dal patrimonio culturale non dovrebbero essere soltanto prerogativa degli esperti ma anche di coloro che “sono mossi da un interesse non prettamente scientifico” (p. 37). Affinché si garantisca un’inclusione culturale per diverse tipologie di fruitori (bambini, giovani, adulti, anziani, persone con disabilità, cittadini non italiani) “il museo deve realizzare, mediante una progettazione cosciente e innovativa, percorsi educativi di qualità” (p. 37). Percorsi che non si limitano alla divulgazione o alla comunicazione del patrimonio ma che, tramite approcci multidisciplinari, delineano uno spazio inclusivo e relazionale in cui l’apprendimento nasce dalla curiosità e dall’esperienza diretta con l’arte.

Lo spazio museale nella contemporaneità, come sottolinea l’autrice nella Prefazione al volume, “diviene museo diffuso, apre le porte al territorio e in ragione di ciò si rende necessaria l’assunzione di personale competente e altamente qualificato in grado di lavorare in un’équipe costantemente alimentata dalla tensione al dialogo interdisciplinare e interprofessionale” (p. 13). E proprio sulle professionalità educative museali si sofferma il capitolo II.

Gli studi condotti in ambito museografico e museologico e i dibattuti concetti di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale contribuiscono a tenere vivo un processo che mira ad ampliare la funzionalità generale dei musei e innescare strategie interdisciplinari per collegare le collezioni al tessuto urbano, dal momento che il museo è un “sistema culturale in trasformazione che evolve in relazione al progressi tecnologico e al contributo degli stessi utenti/visitatori”. (p. 77) Riconoscere i servizi culturali ed educativi che il museo offre, significa conoscere le leggi e le normative che hanno portato alla codifica delle professionalità museali e quindi alla definizione dei profili e dei requisiti di accesso dei professionisti. Dall’istituzione, nel 1975, del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali in Italia, con la legge 29 n. 5, al codice dei Beni Culturali del 2024.

Martina Ercolano individua i punti salienti che definiscono il valore educativo del museo e le tappe che chiariscono il lavoro delle professioni educative e soprattutto delinea quali siano le personalità – e professionalità - che si occupano di educazione al museo, quindi della progettazione di attività che “permettono di motivare e orientare la percezione e la sensibilità visiva, dunque, di sviluppare le capacità cognitive e di osservazione del pubblico” (p. 77).

Il terzo, e ultimo, capitolo mette insieme nuove prospettive (come il museo virtuale), buone pratiche, teorie educative e strategie per il futuro. Interessante la trattazione delle teorie pedagogiche approfondite, tra cui si segnalano quelle del Novecento di Dewey, Montessori, Munari, Piaget, Gardner, Mezirow, Schön, che declinate sulla centralità dell’esperienza spostano il focus, in questo caso museale, dall’oggetto al soggetto, quindi dalla collezione al visitatore. “Si guarda al superamento del concetto di comunicazione intesa come divulgazione di informazione, focalizzando l’attenzione sull’interpretazione del patrimonio culturale” (p. 108), momenti in cui acquista un ruolo primario la creatività, concepita da Bruno Munari come un mezzo per esprimere fantasia e invenzione. E non è un caso che proprio Munari abbia progettato, sin dal 1977, alla Pinacoteca di Brera, una serie di laboratori per bambine e bambini: Giocare con l’arte. La metodologia dei laboratori “Giochiamo con l’arte” è incentrata sulla manipolazione di materiali e la comprensione di tecniche, stili, oggetti e strumenti, quindi l’insegnante – coadiuvato da artisti o esperti - non spiega “cosa fare” ma “come fare”, potenziando i processi creativi attraverso una fase concreta e una teorica e facendo vivere nuove esperienze che ampliano le conoscenze già possedute. La creatività possiede la fantasia ovvero “la facoltà più libera perché “può anche non tener conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che ha pensato” (Munari, 1977, pp. 21).

I laboratori si basano sul metodo attivo del saper fare e sul pensiero progettuale creativo, infatti, i più piccoli sono chiamati a esprimersi in totale libertà. “Lo spazio laboratoriale diviene un luogo immersivo” (p. 125) in cui è possibile conoscere, sperimentare, risolvere problemi in maniera autonoma, creare e vivere l’esperienza estetica.

Se l’arte aiuta a stimolare il pensiero critico, sviluppare le potenzialità e la crescita intellettuale, il laboratorio è il luogo in cui immaginazione, percezione e contatto diretto riescono a dialogare.

Dewey, filosofo e pedagogista americano, considera l’esperienza alla base dei processi educativi, formativi e di apprendimento e afferma l’importanza dell’azione, nella riflessione pedagogica, come presupposto della conoscenza e della formazione degli allievi. Dewey in Art as experience si sofferma sull’unicità dell’esperienza estetica considerata, nella sua integrità, come contemplazione dell’opera d’arte e come un’attività di interazione profonda tra l’uomo e l’ambiente. L’arte è la prova vivente e concreta che l’uomo sia capace di ripristinare razionalmente l’unità di senso, bisogno e impulso. L’arte “è la prova che l’uomo adopera i materiali e le energie della natura con l’intento di espandere la propria vita, e che egli fa così secondo la struttura del proprio organismo: cervello, organi sensori e sistema immunitario” (Dewey, 1951, p. 33).

Fare esperienza dell’arte al museo, non essere spettatori passivi delle opere, ma attori di un processo di conoscenza, in divenire, mette in tensione il concetto di museo che prevale nel senso comune. Il museo educativo non si configura o caratterizza soltanto per la collezione museale che conserva, tutela e valorizza ma si pone come uno spazio di conoscenza, aperto al territorio; uno spazio volto all’esercizio critico, alla produzione, all’osservazione e alla crescita del singolo e della società.

Riferimenti bibliografici

Munari B., Fantasia, Laterza, Bari 1977.

Dewey J., L’arte come esperienza, a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2020.

Ercolano M., Educazione museale. Questioni pedagogiche e formazione di nuove professionalità, Ets, Pisa 2024.

Guerra-Tamez C.R., The Impact of Immersion through Virtual Reality in the Learning Experiences of Art and Design Students: The Mediating Effect of the Flow Experience, in “Education Sciences”, 13(2), 2023, pp. 1-18.

Invitto S., Neuroestetica e ambiente percettivo: pensare, strutture interattive a 3 dimensioni, in “SCIRES-IT. SCIentific RESearch and Information Technology-Ricerca Scientifica e Tecnologie dell'Informazione”, 3(1), 2013, pp. 35-46.

L’autrice

Valentina Certo, educatrice museale e storica dell’arte, svolge attività di ricerca come borsista presso il Dipartimento Cospecs dell’Università degli Studi di Messina, ove ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze cognitive.